Ci sono artisti che fanno grandi cose e poi finiscono nell'oblio, inaspettatamente. Come quei tuoni spaventosissimi di una burrasca estiva che, dopo essere esplosi, già te li dimentichi.
Ma che questo fenomeno di eclissi avvenga a certi grandi nomi è veramente scioccante.
Non adoravo Patrick Wolf, ma ne riconoscevo la sua sensibilità artistica e la capacità di scrivere sempre grandi canzoni (splendida "Hard Times", ma in generale tutto l'album "The Bachelor") e, nonostante non facesse parte dei miei miti, sono sempre stato curioso di ascoltarmi qualcosa di suo e di accaparrarmi ogni sua uscita.
Eppure. I tuoni, prima o poi, smettono davvero di tuonare.
E' possibile, infatti, che dopo un'opera come "The Bachelor", si possa pubblicare un disco come "Lupercalia", che di affascinante ha praticamente solo il titolo criptico (si riferisce ad una tradizione folkloristica in cui si celebra l'amore e la fertilità, il giorno di San Valentino). Perchè canzoni come la brutta "House", canzonetta infantile sulla propria dimora, te l'aspetteresti alla Melevisione. Una cosa come "The City", sicuramente più orecchiabile e divertente, sarebbe comunque già stata demodé negli anni '80, ma è comunque bellina e dà un senso di nostalgia. Molto meglio di un'innocua "Time Of My Life", che non decolla mai, pur avendone le basi, e alla fine non lascia il minimo brivido.
"Bermondsey Street" ha un bell'incipit, quasi di folktronica, ma nonostante un bell'arrangiamento, finisce ben presto nell'anonimato, soprattutto quando certi battiti sembrano raggiungere l'intensità da coro da stadio, o peggio da Live Aid.
Ed è terribile come anche in quello che gli riusciva meglio, ovvero confezionare ballad strappalacrime e da brividi infiniti, fallisca: "Armistice" tenta di struggere l'ascoltatore, ma al di là di un'avvolgente limbo e una bella voce, non c'è assolutamente nulla. Banale e prevedibile, te l'aspetteresti da quei cantantucoli inglesi mezzi falliti, tipo Will Young, et similia.
Irrilevanti i 50 secondi di "William", un po' meglio (ma neanche tanto) la scanzonata "The Future", ma che, se fosse stata composta ai tempi dei primi album del buon Wolf, sarebbe stata sicuramente confinata a b-side.
"Slow Motion" ha le basi del grande pezzo, ma arrivato alla sorta di ritornello, si apre arioso per tutte quelle coppie che non hanno il coraggio di dirsi "ti amo". E ricorda pericolosamente "Memory Serves" degli Interpol. E alla fine non sa che strada prendere, se il pezzo impegnato o la ballatona alla Elton John.
Patrick Wolf ricicla sé stesso, continuamente e, nonostante, l'innegabile talento, "Lupercalia" è un disco destinato al dimenticatoio. Questo non significa che sia uno schifo totale: ci sono tonnellate di robe peggiori, sicuramente, ma c'è il problema del nome. La firma che sta dietro l'opera d'arte. Una merda d'artista.
Insomma, una grandissima delusione.
Sono troppo amareggiato e il caffè sta bollendo.
E io, riascoltando "Oblivion", spero in un altro temporale.
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