Ampie scogliere attraversate da cieli nordici, casette bianche punteggiate nella verde campagna in balia degli elementi, spiriti inquieti in cerca di qualcosa. Sopratutto: libertà. Desiderio infinito di libertà. Il desiderio del viandante, del viaggiatore che cerca la libertà ma sogna contemporaneamente il rifugio dove sostare. Patrick Wolf condivide con pochi altri la capacità di saper evocare con convinzione un intero immaginario, un mondo di immagini e parole che consente di gustare maggiormente l'aspetto prettamente musicale della sua opera. Quando negli anni '80 si ascoltava Morrissey si sognava di conversazioni su Keats e Yeats alle porte del cimitero, si tornava a rileggere Oscar Wilde, si scoprivano vecchi film in bianco e nero, si entrava in contatto con un idea diversa di omossessualità. Nello stesso modo l'ascolto di Nick Cave ti proiettava in un universo di personaggi biblici, di assassini e di malvagi, di figliol prodighi e mille altri anti-eroi e rifiuti della società.Wolf avvolge invece le proprie opere in una mitologia romantica (romanticismo nel senso di movimento letterario/culturale) fatta di paesaggi nordici, di malinconia/spleen, di Tristani e scale di Giacobbe, e sopratutto di voglia di fuga che spesso conduce ad un allontanamento dalla città verso le lande desolate ma accoglienti del Nord Europa dove la Natura ancora parla e seduce con i suoi giochi di luce/ombra.

"Wind In The Wires" è la seconda opera di un giovane con una grandissima personalità che ha vissuto, poco più che ventenne, il triplo di esperienze dell'adolescente europeo medio (fuggito di casa giovanissimo ha vagato ramingo per la Francia, ha sostato a Parigi, vive adesso tra Londra e la Cornovaglia). Il disco mette a frutto con maestria questa mole di esperienza mostrando una maturità compositiva ed un equilibrio soprendenti per essere la seconda prova di un ragazzo così giovane. Wolf riesce a distillare i riferimenti compositivi (un certo cantautorato maudit nella tradizione Cave/PJ Harvey, le atmosfere mitteleuropee, quelle del folk celtico) con una notevole dose di personalità sino a creare un'opera veramente originale, un universo tematico e linguistico con le proprie leggi e la propria semantica. Sin dalle prime note di "The Libertine", il pezzo d'apertura, si ha la chiara percezione di una ascolto compatto, unitario. Gli arrangiamenti sono complessi e ricercati (viola, violoncello, ukelele etc ) e sono arricchiti da un costante sottofondo di rumori e suoni elettronici che ne ampliano ulteriormente la dimensione. Le canzoni hanno una loro individualità, ma prevale l'uniformità di una visione unica, anche nella differenza degli stili (dal rock maledetto di Tristan al folk di Eulogy al pop della conclusiva Landsend ). E' decisamente un altro punto a favore di "Wind In The Wires". Patrick Wolf è un enorme talento.Uno su cui mi sentirei di scommettere.Vedremo cosa combinerà in futuro, intanto c'è solo da godersi questo ottimo lavoro.

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