Se si parte con l'idea che il personaggio della DC Comics creato dei primi anni '40 del XX secolo sia un'eroina femminista, si parte molto ma molto male. Wonder Woman non è una femminista, non c'entra nulla con il femminismo e interpretare questo personaggio con una chiave di lettura di tardi anni '70 del secolo scorso offusca la mente. Il personaggio creato da Marston cresce in una società misandrica, violenta e muscolare. Questa eroina doveva servire alle donne statunitensi impegnate in patria durante la seconda guerra mondiale a mandare avanti la propria vita e quella del proprio paese svolgendo lavori maschili, doveva essere un punto di riferimento e un incentivo a dare di più. Il primo film del 2017 è indubbiamentre una bella pellicola lontana, nel suo equilibrio tra film vagamente storico e fumettistico, dalle scempiaggini targate Marvel degli ultimi anni buone solo a far intascare un po' di soldi all'iper cast di turno coinvolto.

Nell'universo parallelo di questo secondo film si sprofonda nel 1984, ultimo anno veramento freddo della Guerra Fredda tra USA e URSS in cui a dominare sono i talk show, la pubblicità edonistica e le rullate di Simmons. Diana Prince (Gal Gadot) è un'antropologa dello Smithsonian impegnata a catalogare antichi manufatti della nostra specie con qualche concessione verso lo studio degli oggetti del suo popolo che si concentrano soprattutto sulla ricerca della leggendaria guerriera Astoria, che salvò le Amazzoni dagli uomini immulandosi con la sua armatura d'oro. Profondamente sola, destinata ad una eternità vuota, combatte i crimini ordinari commessi dagli umani senza dare nell'occhio. Max Lord (Pedro Pascal) è un teleimbonitore sepolto dai debiti alla ricerca di una misteriosa gemma in grado di generare una svolta alla sua vita, la ricerca affannosa è l'ossessione del riscatto della società del "do it yourself" imperante del turbo capitalismo anni '80. Inevitabile sarà lo scontro.

La critica non ha apprezzato molto questo secondo capitolo firmato da Patty Jenkins, manca quel velo di femminismo muscolare che accarezzava il primo capitolo. Manca la scena epica degna dell'avanzata nella "terra di nessuno" che aveva tanto esaltato nel 2017 si è scritto. Qui l'eroina pecca di egoismo, rivuole il suo amore che cosa poca femminista, desidera una vita normale e subisce le conseguenze delle sue azioni prendendo colpi, botte, faticando e dimostrandosi sempre più debole nello scontro contro i desideri di forza e bellezza ossessivi della collega Barbara (Kristen Wiig). Il film scorre abbastanza bene, in lingua originale ovviamente con la suadente voce di Gal Gadot, alcuni hanno percepito buchi di trama, dove non si sa in quanto è tutto abbastanza chiaro nelle scene e nei dialoghi ma alcuni soggetti indubbiamente peccano di capacità di focalizzarsi sui dettagli di un film tra un messaggino e l'altro. Sequenza iniziale decisamente riuscita, molto spettacolare e con un ricorso ovvio agli efffetti speciali (come se fosse una pecca in questi film), sequenza del volo "romantico" sul bombardiere F 111 molto bella e visivamente poetica. Gli antagonisti, sufficiente la Wiig ma decisamente meglio Pascal che nel suo Max Lord ci mette un misto tra il Trump arrembante di quel decennio e il tragico protagonista di "The Network", una via di mezzo tra un santone televisivo e un venditore di auto usate sulla tv via cavo tragicamente avviato alla follia più distruttiva. C'è il finale con la morale, leggero e giusto. Del resto è pur sempre una storia fantastica di buoni sentimenti.

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