Se vogliamo proprio spaccare il capello in quattro, bisogna partire dicendo che Wonder Woman non è un film femminista, o meglio, lo è nelle sue istanze più macroscopiche, e banali oserei dire, ma nella sua grammatica cinematografica è l’opposto. È un film totalmente aderente ai canoni “maschilisti” della solita Hollywood, per cui la protagonista dev’essere sostanzialmente una modella, bellissima e truccatissima sempre, inquadrata con lunghi primi piani da spot pubblicitario, sempre intenta a fare gli occhioni, costantemente vista dagli altri come oggetto sessuale. Ecco, questa Hollywood fintamente femminista è in verità una macchina fabbrica modelli femminili inarrivabili e per questo detestabili.

Chiusa la parentesi, il film di Patty Jankins sulle vicende di Diana Prince non fa che confermare la mano pesante della cinematografia DC, almeno in termini estetici. Solito grigiore, solito gusto per un’enfasi ormai datata nel rappresentare i combattimenti; in meglio rispetto al film di Snyder c’è una minima coerenza di fondo, che ovviamente scongiura stravolgimenti di trama ridicoli. Ma qui fa capolino la noia: un film davvero lungo e per ampi tratti piatto, grigio e non interessante.

Il finale se non altro riserva qualche sorpresa, ma dall’altra parte perde la morigeratezza (si fa per dire eh) estetica della prima parte e inciampa nel solito duello finale abbastanza pacchiano. Niente di paragonabile a Batman v Superman, ma non siamo nemmeno così lontani. Snyder è comunque tra gli sceneggiatori.

Fa particolare effetto l’insipienza dei film DC nella raffigurazione dei personaggi, soprattutto se confrontata con i risultati magnifici della Marvel, ad esempio nei recenti Guardiani della Galassia Vol. 2 e Doctor Strange. La stessa Diana è abbastanza grossolana nei suoi tratti: a parte qualche momento di ilarità innocua sul suo non conoscere le usanze del mondo, essa rimane comunque un personaggio largamente bidimensionale, spinto da un solo impulso, ridondante e noioso. Non parliamo quindi degli altri, che sono macchiette o poco più.

Ci si perde via in lunghi preamboli, in una narrazione minuziosa quanto inutile, che non lascia molto spazio al percorso di formazione dell’eroina, in favore della parte bellica e spionistica della vicenda, che definire manierista è una gentilezza. Un già visto e stravisto, tra scenari bellici e scienziati pazzi, anche in alcuni degli episodi più infelici del MCU. E non si approfondisce invece la cosa più interessante di tutto il film: il momento in cui Diana si accorge di avere dei poteri. È un passaggio repentino, su cui quasi non ci si sofferma.

Gal Gadot stessa impone un grosso limite alla protagonista: bella, bellissima per carità (e lo si ribadisce fin troppo) ma la sua è una prova più da modella che da attrice. Davvero poca cosa, tanti occhioni sgranati, sorrisi, facce imbronciate e poco altro. Non sfonda la barriera di genere e preserva la sua connotazione principale nella bellezza. Insomma, l’eroismo femminile in Wonder Woman è alquanto maschilista. Fantastica invece l’interpretazione di Robin Wright nei panni dell’amazzone guerriera.

Il film si riscatta parzialmente nella sua fase finale quando accentua la questione concettuale che sottende tutta la vicenda: Diana vede il male come incarnato in un solo dio, Ares, mentre gli uomini e Ares stesso sanno che il male è un po’ in ognuno. E poi una serie di frasi enfatiche sull’amore.

Ho letto in giro che sarebbe un film scritto bene: non è pessimo, però ci sono davvero tanti momenti al limite. I giochi di doppi sensi tra Diana e Steve sono da scuola elementare, la ripetitività con cui ripete i suoi obiettivi di pace e amore quasi snervante. Ma a parte questi difetti: in un film di supereroi si è riusciti a metterci un’ora abbondante di sostanziale noia.

5/10

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