Fintamente signora (più verosimilmente: bestemmiatrice veneta classica, divenuta nel tempo una romanaccia spiccia), dotata di un timbro di voce e di un mazzo di capelli gialli che fanno indubbio personaggio, la Nicoletta da molti anni a questa parte è entrata nel copioso novero di quelle che non ce l’hanno fatta ad invecchiare come natura comanda.
Si è lasciata irretire dal suo narcisismo, da qualche medico estetico bugiardo, o magari da qualche collega di sventura: Vanoni? Bertè? Spagna? Pavone? Tutte queste signore della canzone italiana, e lei con esse, ostentano da tempo una faccia porcellanata dove i connotati sono in fuga l’uno dall’altro, in un grottesco gonfiore diffuso. Questo ad una visione statica… Appena le suddette provano a parlare, a ridere, a fare qualsiasi altra smorfia di espressione, il botulino provvede a tarpare il lavoro dei muscoli facciali e a dare esito ad espressioni strane, aliene, minimaliste.
Ma io recentemente, vagando sul web, ho incrociato una vecchia canzone della Strambelli di trent’anni fa scarsi, portata a suo tempo a Sanremo 1997 ed arrivata solo ottava mi pare, con grande scorno suo ed oggettiva ingiustizia. Vinsero i Jalisse quell’anno, pensa te, con la mitica “Fiumi di parole”, quando vi erano invece a disposizione il giovane Nek e la sua iconica “Laura non c’è”, ma soprattutto la biondina veneziana con “…E dimmi che non vuoi morire”, appunto il brano che ha suscitato questo mio tardo ritorno di fiamma.
Musiche di Curreri, quello degli Stadio; testo di Vasco, la solita efficace accozzaglia di parole sospese, quasi slogan, il più pregnante all’inizio del ritornello “La cambio io la vita che…”, il quale avrebbe meritato di assurgere a titolo. E’ la tipica ballata italiana ben fatta, che nelle strofe indugia pigramente su di un paio di accordi o tre (belli però, imbellettati di none e di settime) e poi si impenna bravamente nel ritornello, con una sequenza armonica e melodica che non si può non ammirare.
E in che disco sta questa mirabolante canzone? In quest’album… dal vivo! Nel senso che apre le danze, nella sua versione in studio, per poi lasciare campo libero ad una lunga serie di successi, vecchi vecchissimi o meno vecchi, proposti da Nicoletta in un recente giro italico di concerti. La cantante è accompagnata da un gruppo preciso e professionale ed il suo contralto spesso e suadente, sorprendente per quel corpicino di un metro e mezzo, sta a risuonare per teatri e locali vari mostrando la solita personalità, ma a dirla tutta non molta intonazione. Vabbè.
Gli hit della sua lunga, interminabile carriera ci sono tutti: la emancipante “Qui e là”, la riscattosa “La Bambola”, la giovanile “Ragazzo Triste”, l’inevitabile “Pensiero stupendo” ecc. ecc. Ragion per cui me lo sono accattato, a prezzo stracciato: primo disco di Patty ad infilarsi nella mia ciditeca, ed anche ultimo… sto bene così d’ora in poi, “servito”.
L’ho anche conosciuta! Tanti anni fa, in una balera/discotecona a Gatteo Mare. Era con Maurizio Vandelli, venuti insieme a salutare De Gregori che, ad inizio carriera o quasi, era lì per un concertino voce e chitarra acustica, un cameo a metà serata. Ben strana coppia, notai: Maurizio mezzo metro più alto di lei. Nei camerini, a un certo punto, si intonò tutti insieme una gigantesca “Hey Jude”, loro tre più quelli del complesso che faceva la serata nel locale, più qualche loro amico, me compreso.
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