Ne ha fatte di cotte e di crude, il nostro caro Paul Gilbert. Chitarrista poliedrico, eclettico, geniale e pazzoide, a volte incredibilmente originale e stupefacente, dalla tecnica incredibile ed inimitabile ma possessore anche di un gusto unico e di un'attitudine melodica veramente ammirabile, nonchè di una versatilità stilistica veramente illimitata: canta, suona, salta, blueseggia, fa il verso al metal o al rock più classico, insomma, un vero e proprio artista.

Ma, sembrarebbe strano, è la prima volta che si cimenta in un lavoro completamente strumentale: "Get out of my yard" rappresenta un lavoro e uno studio anni luce lontano dai suoi buoni lavori solisti ma cantati (tipo "Flying dog", "Alligator farm" o il più recente "Acoustic Samurai"). Tutto è concepito sulla velocità e sulla melodia, sull'energia e sull'impatto emotivo, e diciamocelo francamente, in questa impresa ci riesce abbastanza bene.

Attenzione: non parliamo di un capolavoro chitarristico. Infatti, in fondo, i lick Gilbertiani o le scale che il chitarrista della Pennsylvania usa non si discostano molto da quanto abbiamo già sentito nei suoi innumerevoli lavori, però l'ascolto scivola piacevole e senza cadute di stile oppure momenti di leggera noia. Come dice lo stesso Gilbert, in un eccesso di modestia: "i primi 38 secondi di get out of my yard sono impossibili da suonare, ma io li ho suonati...".
Che dire... l'affermazione è quanto di più veritiero esista: "Get out of my yard" inizia con la title track, ed è un tripudio di tecnica e di velocità incredibile, che non inganni però, perchè già dalla seguente "Hurry Up" i ritmi si allentano e si attraversano territori dediti ad un rock più classico, tappezzati da riff molto originali. Più elaborata è la successiva "The curse of Castle Dragon", disseminata da assoli che richiamano alla mente melodie classiche per poi sfociare nella velocità della chitarra.

"Radiator" mi riporta alla tranquillità, contenendo dei lick che sanno molto di blues su un tappeto di flanger e di morbide distorsioni. "Straight through the telephone" è invece il classico brano rock, con qualche venatura country abbastanza forte. Finora il disco è veramente piacevole, anche se devo dir la verità, si ha sempre l'impressione che la voce di Gilbert faccia capolino! La parte più allegra si interrompe con il suadente pianoforte e la dolce acustica di "Marine Layer", una dolce e romantica ballad per nulla scontata, ma anzi, riflessiva e pacata. Pochi minuti e un altro brano lento ci avvicina: "Twelve twelve" è distorto, con i classici lick di Gilbert, usati bene, intelligentemente, in un'atmosfera molto calma.
"Rusty Old Boat" gioca molto col funk mentre "The Echo song" ci presenta un inedito Gilbert che gioca con gli effetti creando atmosfere quasi da dancehall. "Full Tankl" ha l'incedere pentatonico di molti brani simil-blues, o direi meglio simil-Satriani. Invece si torna a sorridere con "My teeth are a drum set". Rock allo stato puro. Non poteva mancare il brano di musica classica: "Hydon Symphony No. 88 Finale" è come al solito pregevole nell'esecuzione. Gilbert ci delizia ancora con l'acustica con "Three Es for Edward" e si chiude con l'energica "You Kids".

Buon disco, buona prova tecnica ma anche compositiva da parte di un chitarrista che a quanto pare ne ha da dire al mondo musicale. Ripeto: non ci troviamo di fronte al capolavoro ultimo della chitarra: non è paragonabile ad un "Passion&Warfare", perchè, di fatto, non è innovativo nè per la chitarra, nè per l'artista stesso, ma rinforza in tutti l'idea che Gilbert è ancora un punto di riferimento per la musica e che è ancora capace di creare qualcosa degno veramente di applausi.

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