Dopo la cosiddetta "prima trilogia" -costituita da "Ten", "Vs" e "Vitalogy"- i Pearl Jam si erano definitivamente consacrati come uno tra i più grandi gruppi rock degli anni Novanta. Dopo tre simili capolavori, si poteva essere legittimamente incuriositi verso il futuro: adesso cosa sfornerà la band di Eddie Vedder e soci? Nel 1996, due anni dopo "Vitalogy", i Pearl Jam diedero la loro risposta: "No Code".

Quest'album non è come i precedenti, è qualcosa di... diverso. A parer mio, è un punto d'arrivo, sia perché, ascoltando la voce della sperimentazione, i Pearl Jam ottengono risultati artistici di livello notevole, sia perché da qui in avanti la band di Seattle conoscerà il suo declino (pur continuando a produrre lavori di qualità). Le atmosfere dei primi dischi vengono smorzate, ovattate, il gruppo si apre a strumenti nuovi, quali la sitar di "Who You Are" e la fisarmonica di "Smile". Insomma, la voglia di stupire ancora una volta c'è, a costo di lasciare scontenti i fan più intransigenti e ancorati al passato.

"No Code" si apre con "Sometimes", che, dopo aver ammorbato l'ascoltatore col basso di Jeff Ament, conduce a un brano vecchio stile, "Hail Hail". Si continua con la sopraccitata "Who You Are", che si regge su pochi rilassanti accordi che placano il furore del pezzo precedente; "In My Tree", poi, permette al nuovo batterista Jack Irons di dar sfoggio di tutta la sua bravura. Dopo "Smile", in cui la chitarra elettrica si fonde con la fisarmonica, si arriva a uno dei capolavori del disco: "Off He Goes", splendida ballata acustica dal ritmo lento, impreziosita dalla voce di Eddie (ma quale canzone non lo è?). Il tempo di altri tre brani -l'indiavolato "Habit", "Red Mosquito", dove si sente l'influenza di Neil Young, e il velocissimo "Lukin"-e si giunge a "Present Tense": secondo la mia modesta opinione, un capolavoro assoluto. Musica, testo, struttura... da brividi. Il chitarrista Stone Gossard scalda l'ugola-in maniera giusto passabile, per i miei gusti- nella successiva "Mankind"; "I'm Open" comincia tenebrosa col parlato di Eddie per essere poi pervasa da un'atmosfera "solenne". Il disco si conclude con la deliziosa ninnananna "Around The Bend", dedicata alla figlia di Irons.

Essendo una svolta nella ricerca musicale dei Pearl Jam, "No Code" richiede molto probabilmente di essere ascoltato più volte perché possa essere apprezzato: la prima volta che l'ho sentito pensavo fosse spazzatura, ora è uno dei miei album preferiti. La qualità resta alta: i Pearl Jam l'hanno semplicemente incanalata attraverso nuove vie. Da scoprire. 

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