I Pearl Jam continuano a percorrere la loro lunga strada, come ci è dato vedere dalla copertina stessa di questo nuovo e forse fin troppo rilassante disco, che ci mostra, in modo mai prima d'ora più palese, il volto più introspettivo della band.

Ci troviamo di fronte infatti a ben sette ballate più o meno elettriche su un totale di tredici pezzi; si pone allora il problema di decidere quale grado di severità usare nel giudicare il lavoro, cercando di vedere le singole canzoni per quel che sono, indipendentemente dalla loro lentezza.

Prima di tutto è certo che se fossero stati i Bon Jovi a mettere sette ballate in un disco, esso si sarebbe rivelato di una palla mostruosa,mentre i Pearl Jam hanno saputo scrivere dei pezzi diretti figli degli anni 70 ed in particolar modo di Neil Young, che godono in linea di massima di una buona ispirazione.

Il problema è forse che pur non essendoci veri e propri passi falsi, non si grida neanche quasi mai al miracolo, quindi ”Yield" è da ritenersi un buon album di una band, che ha un pò perso le sue caratteristiche migliori in quella immediatezza e spontaneità compositiva che caratterizzò gli esordi, diretta figlia di band seminali come Green River e Mother Love Bone.

Volendoci legare al passato, le canzoni nuove ricordano molto più da vicino le ballate e i monenti più veloci di "Vitalogy" piuttosto che di "No Code", con la differenza che qui non ci sono veri e propri momenti inutili, in quanto l'unica traccia che non può essere definita una vera e propria canzone è addirittura senza titolo e rappresentata da un pallino rosso, con il batterista Jack Irons intento a rumoreggiare nella propria cucina, posto a metà album con l'intento di fungere da pausa, prima di riprendere il discorso musicale con la seconda parte del disco.

Tra le cose migliori troviamo il primo singolo "Given To Fly", scritto da Gossard, ballata elettrica dove una chitarra in lento crescendo allla U2 accompagna la voce di Eddie fino a farla esplodere; va detto che qui però il riff introduttivo è rubato più o meno spudoratamente a quello di "Going To California" di zeppeliniana memoria...

Abbiamo poi "No Way" forse il pezzo migliore del lotto, dove spicca il sofferto lamento di chi si sente diverso da un certo tipo di comportamento e modo di pensare predominante ed opprimente.

Ma il brano forse più particolare per una band come i Pearl Jam risponde al nome di "Do The Evolution", dove il cantato sempre ispirato di Eddie si scontra con un riffing una volta tanto rock'n roll di Gossard.

"Low Light" sarebbe perfetta per chiudere od aprire un loro concerto tenendo i riflettori al minimo e gli accendini accesi; è tutto merito di Eddie in apertura di secondo lato lo stupendo pezzo intitolato "MFC" che, in qualche modo a noi sconosciuto, lega il cantante alla nostra capitale.

Per ultimo da segnalare un brano registrato in low-fi, dal testo parlato e dal titolo "Push Me, Pull Me" cantato in coro: fate attenzione il testo è immenso ,e forse è stato scritto da Vedder pensando ad un amico morto, che qualche anno fa cantava di giovani spiriti....

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