Ho sempre avuto un rapporto particolare con la produzione ‘Hammilliana’ post ‘Over’ ed in particolare per i suoi anni ’80. Capitemi pure, da un invasato Prog come me, la prima volta di ‘The Future Now’ non fu accettata in maniera gradita dalle mie poco allenate orecchie. In fondo Hammil aveva capito che in quel lontano 1978 proseguire la scie degli ideali di ‘Pawn Hearts’ lo avrebbero mandato in rovina commercialmente o, come probabilmente sarà stato, visto che ad Hammill anche il successo commerciale non arriverà nemmeno con la svolta post punk/new wave, semplicemente sentiva il bisogno di cambiare e di rinnovare il suo modus operandi. Come giusto che sia, ci son voluti molti ascolti per apprezzare gli esperimenti sonori che inizieranno con ‘The Future Now’ e persisteranno per gran parte del decennio successivo.

Arriviamo pian piano al disco in questione nel 1983, il secondo lanciato con la K Gruop e il sassofonista David Jackson, ex-Van Der Graaf Generator come ospite. ‘Patience’ segna molto probabilmente la fine della fase più sperimentale di Hammill, oltre a rappresentare,a mio avviso, il suo disco migliore degli anni ’80, dopo il monolite ‘A Black Box’ e l’essenziale ‘And Cloas As This’. L’album inizia con una delle canzoni migliori: ‘Labour Of Love’, dove la voce di Hammill si presenta piuttosto dolce e calda, scandita da una batteria mid-tempo e dalla presenza di un ritornello piuttosto inusuale costituito da un riff di chitarra particolarmente minaccioso. Si segnala la presenza di alcuni pezzi rock piuttosto piacevoli ed orecchiabili, dove gli strumenti precussivi sono molto potenti ed in evidenza, mentre la voce risulta sempre graffiante il giusto. Infatti provare per credere, la melodia più ‘easy listening’ e furbetta di ‘Film Noir’ o la più coraggiosa 'Jeunesse d'Orée'. Da perfetto contraltare a queste canzoni, troviamo la ballata scarna e fredda di ‘Just Good Friends’ e l’ acustica di ‘Confortable?’. Quest’ultima sarebbe una semplice canzone acustica, se non fosse per le continue interruzioni di scariche fulminee di batteria e dall'incedere ipnotico. Ma il capolavoro del disco, nonché una delle migliori canzoni della carriera di Hammill, arriva alla fine con ‘Patient’; sorretta da semplici accordi di chitarra classica, la voce di Hammill si contorce, si trascina disperata nel tentativo di dipingere le sensazioni ed i tormenti di un malato ma dopo circa due minuti, accade l’irreparabile. La vita sembra ormai sospesa su un filo, le imprecazioni non si contano, con il paziente che aspetta inerme il dottore. Il ritmo cala nuovamente subito, ma il dolore e la consapevolezza di un male incurabile, rende il resto della traccia un vero e proprio tripudio di emozioni. La voce di Hammill qui è semplicemente mostruosa, provare per credere!

Il successo commerciale non arriverà nemmeno con quest’album, anche la critica sembra ormai averlo dimenticato; Hammill invece, dal canto suo, tre anni dopo farà ancora meglio con il capolavoro piano/voce di ‘And Close ad This’.

4 Stelle và, con Peter Hammill sono buono!

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