Avendo in età più giovanile apprezzato immensamente i Bauhaus, con il passare degli anni la mia attenzione non poteva non rivolgersi anche al loro leader Peter Murphy ed alla sua carriera solista. Alcuni personaggi col tempo cambiano, maturano, talvolta migliorano e, se il vino è buono, l’invecchiamento non spaventa, basti guardare cosa ha combinato un certo Nick Cave, tanto per citarne uno che come lato oscuro non ha nulla da invidiare a nessuno. Magari i fan della prima ora non apprezzeranno sempre i cambiamenti radicali del proprio beniamino, ma non si può avere sempre vent’anni (come al contrario pretenderebbe Madonna), per cui essere un Bauhaus dopo un quarto di secolo potrebbe non avere molto senso, basti ricordare lo sciagurato “Go Away White”.

Sul finire degli anni 80, i presupposti c’erano tutti per una lunga e interessante carriera del bel tenebroso inglese e, invece, dall’esordio in poi, piazza soltanto qualche zampata, ma mai nulla di veramente significativo o memorabile. Nel 2011 ecco l’ultimo (il nono) tentativo con “Ninth” (titolo che non brilla per originalità), un disco molto “conformista”, piatto, già sentito. Non c’è disperazione, non c’è profondità, mancano spunti di riflessione. Il velluto nero di Bela Lugosi si è impolverato ed è stato venduto al mercatino delle pulci per pochi spiccioli e, quel che è peggio, non è stato sostituito con nient’altro. La voce è sempre intrigante ma da sola non basta: lo stampo pop/rock evidenziato da innocue chitarre elettriche e da ritmi ora blandi ora leggermente più sostenuti rende l’ascolto discretamente noioso già dal primo brano “Velocity Bird”, che, invece, avrebbe dovuto rappresentare un incipit col botto. L’aria allegra, non frizzante, tranquilla e non lirica denota una palese mancanza di stimoli creativi. Anche quando si prova a forzare la mano con qualche suono più pesante e la voce tesa, non si raggiungono i risultati sperati; il tutto ricorda gli U2 del nuovo millennio, i Blur... Forse Peter ha trovato un equilibrio nella sua vita privata che risulta letale, però, per la sua musica che dovrebbe vivere di conflitti, di malinconie, di rabbia. La godibile “Seesaw Sway” ha un martellante ritornello melodico e possiede una annacquata rabbia repressa che mi fa pensare agli Smashing Pumpkins (in versione più tenera), mentre la dolce “I Spit Roses”, scelta giustamente come singolo con tanto di video (orrendo, fatto di figurine super abusate e lui, imbolsito, è vestito da ubriacone) si fa notare per gli splendidi vocalizzi ipnotici di Murphy. A seguire si giunge ad un approdo sicuro ed emozionante, “Never Fall Out”, una ballata acustica in cui la performance di Peter dona un’aura quasi magica: per me il brano di gran lunga più riuscito. La seconda parte di “Ninth” scorre via con pochi sussulti (la più aggressiva “Uneven & Brittle” desta dal torpore) fino ai due brani di chiusura, la cupa “Secret Silk Society” non in grado di rievocare i fasti oscuri di un tempo e la ben eseguita e dignitosissima “Crème De La Crème”.

“Ninth” è ben eseguito, ma nulla più, meglio di tante cose che si ascoltano in giro, ma così tanto simile alla massa che quasi non ci si crede. Non avevo grandi aspettative (dal dopo Bauhaus la parola “capolavoro” non è accostabile ai lavori di Peter Murphy), per questo non posso dire di essere rimasto deluso, ma per chi attende un colpo di coda storico di quell’uomo di sottile e scura figura dalla voce emozionante, dovrà attendere il prossimo disco, forse invano.

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