"Io non ho opinioni. Ho tentato di averne, e ho fatto, in conseguenza, il mio dovere. Così mi sono accorto che anche come rivoluzionario ero conformista."

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Porcile" è l'opera di Pasolini che meglio esprime il suo pensiero e quindi il suo disagio. Nella sua critica alla morale comune, al bigottismo marciante che pervade il mondo, Pasolini distrugge i tempi e le destinazioni rendendo il suo pensiero atemporale e generalista, buono per tutto e tutti. E' la tolleranza che marca le differenze, che sottolinea la non accettazione, è la compassione e i compassionevoli a rendere impossibile qualsiasi reale slancio empatico. Il tema che pervade "Porcile" è l'impossibilità a vivere secondo le proprie cordinate, secondo i propri istinti. L'impossibilità a preservare il me medesimo cannibale dal mondo cannibale.

"Porcile" è un'opera impegnata a far riflettere gli infelici pochi.

Ci sono due storie aliente tra loro, ma così uguali. Un cannibale che solca le pendici dell'Etna attendendo il corpo, attentando la vita, delle sue prede in una Sicilia spagnoleggiante dove Pshysis e Nomos sono ancora la stessa cosa. Un venticinquenne borghese, nè ubidiente nè disubidiente, ma comunque dissimile dal padre, che cela il suo dissenzo nell'accoppiarsi con i maiali in una Germania post-Nazista dove il sogno della grande Germania non è ancora sopito, dove gli ebrei sono ancora i porci. Entrambi i protagonisti verrano fagocitati dal mondo, entrambi finiranno nello stomaco delle fiere. Da isolato uomo-cannibale, reo d'aver ucciso l'istituzione-padre, reo di confinarsi in uno scenario (l'Etna) che sa di girone dantensco, che simbolegia l'amoralità, reo d'esser il diverso in un mondo fin troppo legato al divino, diverrà il mondo. La ruota della storia, così surreale, ma sempre uguale a se stessa, gira ed è il mondo a diventare cannibale. E' la Germania Nazista ad ingerire l'umanità (umanità nel senso di ciò che c'è d'umano nell'uomo... l'umanità nel senso comune del termine non esiste), è la morale borghese a cancellare tutto quello che non è la morale borghese.

"Porcile" non fa prigionieri. Condanna tutti, dal primo all'ultimo, dai giovani anti-comunisti che andavano a pisciare sul muro di Berlino in sfregio di chi in quel muro viveva ai genitori che sempre vorrebbero una proiezione di se stessi nella propria prole. Non c'è rendezione, non c'è possibilità di salvezza in questo mondo soggiocato in modo, oramai, antropologico. Non c'è speranza in questo porcile dove tutti mangiano tutto, dovo il solo deve essere il tutto.

Pasolini raccoglierà i cocci delle reazioni e degli umori rotti in due dalla diffusione di questa pellicola e li caricherà svuotandoli dei simboli incomprensibili a più. Dalla sintessi nascerà "Salò o le 120 Giornate di Sodoma", dalla necessità di viver realmente se stesso finirà morto... fagocitato dai porci, incenerito dalla tolleranza, incompreso come tutto quel che di bello rimane ancora da comprendere.

"Ho sognato poche notti fa che ero per una strada buia, piena di pozzanghere... Ed ecco che sull'orlo dell'ultima di queste pozzanghere, c'è un maiale, un maialino…
Io mi avvicino a lui, come per prenderlo e toccarlo. Ed esso allegro mi morde. Il suo morso mi strappa quattro dita della mano destra, che però restano attaccate e non sanguinano, come se fossero di gomma… Chissà mai qual è la verità dei sogni... oltre a quella di renderci ansiosi della verità."

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