ENEA è un film del 2023 presentato al Festival di Venezia.

È il secondo lungometraggio di Pietro Castellitto, figlio di Sergio che nel film è Celeste, padre di Enea, il protagonista-regista. Padre/figlio nella finzione, così come nella realtà.

C’è questa famiglia dell’alta borghesia romana (roma nòr). Il padre è uno psico-analista. La madre, interpretata da Chiara Noschese, è Marina e conduce un programma televisivo culturale, recensioni di libri, una roba così.

Enea è il primogenito, un trentenne paraculo che gestisce un sushi-restaurant (il cuoco si incula i salmoni) e passa le sue giornate tra il tennis club e feste private in ville lussuose, dove tra l’altro spaccia coca col suo amico Valentino (ricco di famiglia pure lui), interpretato da Giorgio Quarzo Guarascio.

Infine il secondogenito, Brenno (Cesare Castellitto) un sedicenne bambacione che ancora dorme nel lettone con mamma e papà.

Enea è la storia di un fallimento, genitoriale innanzitutto. Due genitori inetti che tirano su due figli che vanno per conto loro ma non vanno da nessuna parte. È una famiglia di facciata, disgregata, dove ciascuno fa i conti (e li fa male) con la sua solitudine e le sue incertezze, in un acido minestrone irrisolto.

Enea è la storia di Enea (ma non mi dire) che insegue la “potenza” che vuole “vincere” ma che non ha preso manco un calcio in culo dalla vita e della vita non ci ha ancora capito un cazzo. Insegue la potenza, la bellezza (EvaBenedetta Porcaroli) vive esclusivamente nel mondo materiale, soldi-alcool-coca-fica.

Enea è un crime-movie, lo spaccio, il colpaccio, i casini.

È un film prismatico, edipico (qua le donne sono sullo sfondo tranne Eva, la ragazza di Enea, l’unica che gli sbatte in faccia la verità) con molti cambi di registro, disomogeneo, imperfetto, con sequenze e dialoghi memorabili (ad esempio quando parla Giordano quello che dà la coca ad Enea, interpretato da Aldo Dionisi). Poi ci sono altri momenti trascurabili, non riusciti, avulsi alla manovra, tra il grottesco e l’imbarazzante, ma sta anche in questi elementi, la fascinazione e lo stupore di quest’opera sorprendente, borghese, new-age, barocca, fortemente critica verso il mondo che rappresenta. Si avverte chiaramente che il film è personale, azzarderei autobiografico, sentito.

Ed è quando scende in profondità che sale il livello di attenzione, quando si sposta dalla superficie dello champagne, della fica, della coca, al senso della vita che Enea vede il baratro e si rabbuia, indifeso e perplesso. A differenza del suo amico Valentino, che ste cose le ha viste meglio e prima, che guida l’aereo e l’emozione più grande che gli dà l’aereo non è l’ebbrezza del volo, ma la consapevolezza che quando è lassù potrebbe morire da un momento all’altro. Ci sono dunque momenti da resa dei conti, consapevolezze, la superficie viene spazzata via, la bestia viene scarnificata e si arriva all’osso.

L’impianto registico, poi, è davvero interessante e porta il film molto in alto; soluzioni visive non convenzionali, fotografia satura, le riprese ardite (e le risalite), con la colonna sonora di Niccolò Contessa, Spiagge di Renato Zero al karaoke (altra sequenza di rilievo, canta Valentino). A seguire gli altri brani https://www.imdb.com/title/tt27219440/soundtrack/

Che altro dire? Potrei continuare perché in quasi due ore, tanto dura, i temi trattati e gli spunti non sono pochi, ma mi fermerei qui.

Il film ha diviso critica e pubblico, e per me questo aspetto è sempre una piccola medaglia al valore, io sono tra quelli che dicono sì, vedetelo.

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