"You'll never believe the mess I'm in; I've got to fight and I've got to win; You'll never believe the mess I'm in; Dislocate me, desecrate me, masturbate me, celebrate me" (Da Scumsberg)

Quelle poche volte che leggo i testi delle canzoni mi chiedo se abbia fatto bene. Di certo Raymond Watts è uno saggio. Londinese e di bella presenza, collaborò fin dai primi anni Ottanta con i tedeschi KMFDM e ha lavorato come tecnico del suono con grossi nomi dell'industrial come i maestri Einstürzende Neubauten, i Foetus e, più tardi, i Nine Inch Nails.
Solo alla fine del decennio dà vita ad un gruppo suo, il progetto musicale PIG, di cui è unico componente. "A Poke in the Eye... With a Sharp Stick", uscito nel 1988, è il primo disco di una ventennale carriera sotto questo nome.

Relativemente poco conosciuto, Watts dimostra di essere un autore di musica industrial poco al di sotto dei nomi imprescindibili del genere, con una forte personalità propria. Watts riesce a ricavarsi una nicchia di aurea mediocritas tra le due derivazioni dei generi correlati all'industrial: i suoi pezzi sono orecchiabili e facili da ascoltare, ma mai troppo melodici e con ritornelli stucchevoli. Il cantato pulito è più malizioso che aggressivo, e si mantiene costantemente inquietante; alle melodie elettroniche si accompagnano martellanti percussioni industriali. La forma canzone non viene mai stravolta e non si ricorre mai alla cacofonia, ma fischiettare allegramente le melodie presenti richiederebbe una grande dose di senso dell'umorismo.
Derive particolari in una delle due direzioni si trovano su brani isolati: filastrocche pervertite e canticchiabili ve ne sono molte ma spesso ridotte alla stregua di divertissement, cosa che il nostro non disdegna affatto; le caotiche digressioni più strettamente industriali sono invece lasciate in chiusura del disco. Le canzoni sono tutte di buona qualità e mai confuse o troppo simili tra di loro, si lasciano ascoltare con facilità e ricordare facilmente senza scadere in banalità, alla più arrogante One for the Neck fa da contrappasso l'aggressiva e oscura Shit for Brains, allo spensierata cantilena in tedesco di Hindelinde si accompagnano i sette minuti di ossessioni industriali di Peoria.

Siamo di fronte ad un album beffardo e sarcasticamente divertito che sbeffeggia cupo e sardonico i ritornelli catchy dell'easy-listening più pacchiano ed offre numerosi richiami all'industrial più tradizionale e casinaro risultando però come già accennato ascoltabile con grande facilità e lasciandosi apprezzare facilmente.
Non è qualcosa di eclatante, ma un ascolto se lo merita eccome se navigate anche solo a vista nell'industrial. Non penso di dire una bestialità troppo grave se affermo che ci troviamo come attitudine di fronte ad una sorta di Marilyn Manson che non ha bisogno di ricorrere a pagliacciate sceniche e non vuole coinvolgere un pubblico giovane e impreparato, sebbene sia perfettamente fruibile anche a molti imberbi giovanotti.

Equilibrato, beffardo e senza pretese commerciali, probabilmente è per questo che così in pochi lo badino.

Carico i commenti...  con calma