(L'eterno effimero fascino delle sculture d'aria... )

Nella suggestiva sequenza di "Nirvana" di G. Salvatores, aprendo l'armadio a muro e scostando gli abiti che si è abituati a vedere ogni giorno, la protagonista femminile si accorge che non è un armadio, ma una finestra su un mondo parallelo, una realtà virtuale dal violaceo profilo alieno di cui quella in cui viviamo non è che uno degli infiniti terminali. Ripercorrendo "A Rebours" gli ultimi 40 anni di Historia de La Musica Rock ritroviamo una triade inglese (e come vedremo, un concetto simile): i Beatles, esploratori di tutte le infinite opportunità creative che si situavano da un polo all'altro della gamma strumentale dell'epoca, i Rolling Stones, di fatto detentori del segreto (così pare) di quello slang destinato a rimanere intraducibile che è "Rock", inteso nella sua accezione ispirata ma al tempo stesso monolitica, e un terzo gruppo, ben più misterioso e sfuggente, allucinatorio eppure così incredibilmente attuale ancor oggi, nonostante la sua ben più dolorosa e travagliata storia (se paragonato agli altri due gruppi). La monumentale opera "Sgt Peppers and The Lonely Hearts Club Band" aprì un varco intuitivo, uno spiraglio tra le rocce dal quale si poteva vedere la skyline del Futuro: quella prospettiva era l'equivalente della Finestra di Nirvana. La stessa violacea, luminescente, sommersa realtà virtuale in quanto mondo che si raggiunge dipartendosi lungo una direzione differente della raggiera delle infinite realtà possibili abitava nei solchi dei vinili di quel misterioso gruppo: i Pink Floyd. L'applicazione del Rock, matrice linguistica forgiata in terre nord-americane, alla Canzone patrimonio di un folk più "europeo" , fino ad avvolgerla avrebbe creato una lingua espressiva che tutt'oggi risulta credibile e attuale. Questi furono i Beatles, di Liverpool.

I Pink Floyd, di Londra, de-costruirono cubisticamente-analiticamente quell'idioma espressivo, per riassemblarlo sinteticamente in forme inaudite, deformate, come l'atto di osservarsi in uno specchio concavo, o una fotografia grandangolare di uno scenario irriconoscibile: lo stesso mondo ma un altro mondo. Il primo, sbilenco, geniale, intuitivo, splendido e poetico (sin dal titolo) "The Piper At The Gates Of Dawn" (Il Bevitore ai cancelli dell'alba), fu seguito dal maestosamente antesignano "A Sourcerful Of Secrets", (uno dei primi chiari esempi di connubio rock-elettronica), purtroppo la vicenda fu dolorosa prima e travagliata poi. Dolorosa perché la mente creativa e genio musicale del gruppo, Syd Barret praticamente dal primo album dovette lasciare la band per le devastanti lesioni prodotte dall'LSD, il suo posto in primo piano fu acquisito a partire dal terzo album "More" dal chitarrista David Gilmour. L'altra anima dei Pink Floyd è incarnata da Roger Waters, di cui si sarebbe detto (dopo album come "The Wall", "The Final Cut" e la carriera solista successiva) che era un talento nato nel secolo sbagliato: più votato all'opera che alla canzone, più alle grandi strutture teatrali che alle sperimentazioni rock post-beatlesiane degli inizi, di cui forse la più preziosa intuizione fu l'idea dello "Space Rock": una sorta di suono che creava nell'ascoltatore, grazie al grande lavoro sugli effetti sonori, una sensazione di dilatazione, ampliamento e multidimensionalità dello spazio ambientale in cui venivano messe in scena quelle canzoni. Dopo lavori splendidi come "Ummagamma", forse il maggiormente "spaziale" degli album dei Pink Floyd, "Atom Hearth Mother", decisamente concettuale, e il vertice creativo raggiunto con "The Dark Side Of The Moon" (anche se assieme a "Meddle" non piacque molto ai fan della prima ora) nonché "Wish You Were Here" e il citato, cupo, violento e claustrofobico concept "The Wall", disegnarono la variegata (e contorta) parabola artistica di fatto prodotta dal lavoro Waters-Gilmour. Dopodichè si passò, come si diceva, alle vicende travagliate: i contenziosi legali, la fuoriuscita di Roger Waters, il mantenimento del nome del gruppo da parte di David Gilmour e il black-out, durato quasi 10 anni, fino al ritorno della luce, onirica (ma non troppo) di "A Momentary Lapse Of Reason".

Con l'album della rinascita datato 1987 giungiamo a questo doppio live "Delicate Sound Of Thunder". Titolo programmatico: il suono unito al più raffinato e imponente light-show della storia del Rock, è ciò che sovrasta tutto, il palcoscenico è una gigantesca macchina in cui i Pink Floyd sono talmente piccoli da essere quasi inosservabili.

E il sound, fatto di trame raffinate come la seta, lavorato, cesellato e limpido, una specie di space cameristico, talmente classico da dare l'idea di far perdere le tracce di chi ne è stato l'inventore. Una specie di "scene that celebrates itself" incentrata su di un unico palco, un concetto, forgiato e sviluppato dai Pink Floy, quello di Pischedelia, teso sin dai dischi del periodo intermedio, "Meddle", "Animals" al recupero dell'estetica neoclassica, la bellezza scultorea dei corpi, la bellezza del suono nei teatri più originali (gli scavi archeologici di Pompei nel 1972 il Bacino di San Marco a Venezia nel 1989), laddove la new wave avrebbe maggiormente esplorato i territori del romanticismo decadente e del sublime.

Il primo dei due vinili è incentrato quasi interamente su composizioni tratte dal più recente "A Momentary Lapse Of Reason": "Sorrow", "The Dogs Of War", e il brano più suggestivo e riuscito "On The Turning Away", essendo l'overture affidata al celeberrimo assolo di chitarra di "Shine On You Crazy Diamond", dapprima costellata di suoni lievi e misteriosi che si posano sul tappeto delicatissimo delle tastiere di Nick Mason, accarezzate dal sonorità sax qundi la chitarra elettrica di Gilmour (e relativa esplosione di un pubblico giustamente in visibilio). Non c'è molto altro da aggiungere sulla musica, "Momentary..." non è un disco memorabile, obiettivo che peraltro non sembra interessare molto David Gilmour (e personalmente neanche me), se la musica cosiddetta "commerciale" fosse tutta così non ci sarebbe bisogno di simili (inutili) distinzioni (del resto non risulta che Peter Gabriel o David Sylvian compongno canzoni solo per l'onor della patria)...

Il secondo capitolo è invece un tuffo nel passato relativamente "recente": l'apertura con la inquietante "One Of These Days" (1971, opening track di "Meddle") scandita dal basso ossessivo (chissà se qualche artista Punk se n'è ricordato pensando ai "dinosauri" che sbeffeggiava), per tutta la durata del brano, quindi è la volta di un brano dei più melodico "Time", (da "The Dark Side Of The Moon"), quindi il funk di "Money" (da "Whish You Where Here") e (ovviamente) "Another Brick In The Wall - Pt 2" (il singolo più famoso della storia del gruppo), ritmo marziale ma ossessione antimilitarista-alienante, una contraddizione su cui l'intero "The Wall" sembra essere costruito. Una pausa distensiva arriva con la ballad più famosa di tutti i tempi (Pinkflodyanamente parlando) "Whish You Where Here", quindi è la volta altri due episodi tratti da "The Wall" con i quali si chiude il live show: "Comfortably Numb", blu, avvolgente di una tristezza senza confini, e la (apparentemente?) liberatoria "Run Like Hell". Apparentemente, perché sembra che le melodie e gli arrangiamenti rock siano adatti a chiudere il live, quasi come una specie di "gran finale": discutibile, in quanto nel lavoro originario rappresentava uno dei vertici dell'ossessione e della follia, quindi appare in tal "gioco" del tutto fuori contesto.

Tanto si è detto (prevalentemente in negativo) sull'era-Gilmour, fino ad arrivare alla giusta conclusione che "i Pink Floyd o si amano (e quindi buon ascolto) o si odiano (e in tal caso basta stoppare il lettore)". Sarebbe per chi scrive assai ingeneroso rispetto a Gilmour e Mason, ripetere all'infinito "i veri Pink Floyd sono quelli di, o al limite di ..." assai inutile oltre a ciò, in quanto i Pink Floyd sono qui ed ora. Si può criticare ciò che non piace e anche ciò che piace: mi limito a sentire, seguendo con lo sguardo interiore, quanta bellezza c'è in queste melodie, quanto possono essere suadenti, evocative, quanto queste splendide sculture d'aria siano cariche, ancor oggi di un fascino che ormai non ha più tempo. Quanta delicatezza poetica forza possa esserci nel rumore di una foglia che cade, di una goccia d'acqua in un bicchiere riempito a metà, di un tuono preceduto dall'abbacinante luce blu del lampo.

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