Ero piccolo, avrò avuto massimo dieci/undici anni.
I pomeriggi avevo l'abitudine di scendere in garage, dove mio babbo lavorava, e di passare del tempo nella Fiat 131 di famiglia, il "macchinone" come lo chiamavo io, l'auto che usavamo per i viaggi lunghi quando per esempio andavamo al mare d'estate. Una volta dentro accendevo lo stereo e mi mettevo a giocherellare con le tante cassette che il mio babbo era solito tenere lì dentro. Accanito fan del tape trading lui, credo che di originali ne avrà avuti tre o quattro, tutto il resto erano nastri copiati, fossero esse compilation di musica registrata dalla radio o copie di album originali. Ricordo che mio babbo era solito fare una cosa molto carina, che anche io negli anni a venire ho rifatto, non sapendo che forse, inconsciamente, me l'aveva passata lui: faceva le copertine. Prendeva immagini ritagliate da giornali, o foto sue, le riassemblava con colla e forbici, le ritagliava nel formato corretto e le attaccava al cartoncino della custodia della cassetta. Così non sapevi mai cosa avevi tra le mani, se una compilation o una copia di un album, e lo scoprivi solo aprendo la custodia della cassetta.
Tra tutte le cassettine una mi colpiva sempre tantissimo: ritraeva due teste che si osservavano, a bocca aperta, occhi sgranati, in un campo. Nessuna scritta, nessuna parola, l'atmosfera era sospesa, indefinita, sognante e arcana. Non lo so perché mi affascinava moltissimo questa cover, era confortante e inquietante al tempo stesso, esprimeva allo stesso tempo calore e freddo.
Passano gli anni, crescevo prendendo la mia strada, sbagliando, facendo scelte giuste, e allo stesso tempo quel babbo mi osservava andare per la mia via, rimettendomi in carreggiata se c'era bisogno, ma tutto sommato rimanendo sempre nell'ombra. Negli anni affino i miei gusti musicali, accresco la mia "libreria", ma il caso vuole che alla fine, più o meno consciamente, un giorno mi imbatto nuovamente in quella copertina, o meglio, in quell'album. Stavolta sapevo perfettamente di cosa si trattava, nel tempo avevo iniziato a conoscere, apprezzare, fino a innamorarmi dei Pink Floyd, e il giorno che rividi nuovamente quella copertina, e vi associai i testi e la musica che questa rappresentava, riuscii finalmente a dare un senso a quella percezione che avevo di inquietudine e freddo.
Passano altri anni, quel babbo che era stato sempre al mio fianco non c'è più, ma ovviamente continua a rivivere nei miei ricordi, nelle sue/nostre cose, e nelle canzoni. Ieri avevo messo su, distrattamente, "The Division Bell" dei Pink Floyd, disco che mi è sempre piaciuto, sebbene non lo ritenessi pietra miliare della discografia degli inglesi. Ne ho sempre apprezzato i suoni, la dolcezza con la quale Gilmour suona la chitarra, il calore consolatorio della sua voce, le atmosfere miti, rassicuranti, tratteggiate dalle tastiere di Wright, e quell'alone nostalgico che animava tutto il lavoro. "High Hopes" è stata per molto tempo il mio pezzo preferito, ma ieri, ascoltando "Marooned", ho avuto un brivido.
marooned: adjective UK, /məˈruːnd/ US - /məˈruːnd/, left in a place from which you cannot escape.
Ho dato un senso all'inquietudine che ultimamente mi sta assalendo, al senso di "mancanza" di qualcosa, di un pezzo di cuore probabilmente. E come vuole il concept alla base del disco anche io percepisco assenza di comunicazione, lontananza, mancanza, "silence that speaks so much louder than words" prendendo in prestito le parole di un altro brano Floydiano. Il brano, strumentale, è un monologo chitarristico gilmouriano, un pianto lontano che si adagia dolce su tappeto di tastiere offerto da Wrigh: tantissima atmosfera che permette ad ognuno di noi di vagare e perdersi nella propria anima.
Si cresce, si cambiano gusti, le canzoni che una volta ritenevi fondamentali per la tua crescita cedono il posto ad altre, ma è bello constatare come alla base di tante cose ci sia sempre la musica a tenere vivi i ricordi.

Nota a margine:
Non si tratta di una recensione di un album ("The Division Bell"), non si tratta di fatto di una recensione anche se alla base c'è una canzone ("Marooned" dei Pink Floyd). Vuole semmai essere una riflessione appoggiata a una piccola recensione (se mai ce ne fosse ancora bisogno di parlare e incensare i Floyd), un tentativo di dire che la musica va ascoltata con il cuore, va sentita, va legata ai ricordi e non lasciata a sottofondo passivo. E' una molla fortissima, una ancora indistruttibile che ci permetterà sempre, ovunque, di restare in contatto con il nostro passato e allo stesso tempo avere indicazioni sul nostro futuro.

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