La copia carbone esatta di Streetcleaner dei Godflesh.

Industrial degli inglesi Pitchshifter (anno domini 1991) sembra uscito dalla mente di Justin Broadrick: stessa materia sonora plasmata, medesimo impatto frontale delle chitarre in grado di costruire un gigantesco muro uditivo, uso smoderato di una drum machine asettica, martellante, in-quadrata dall'incedere marziale ed ossessivo. Anche la voce non si discosta dal cantato del leader dei Godflesh: un muggito distorto, desolante, disperato. Hanno poco più di vent'anni i fratelli Clayden da Nottingham; ma hanno già idee precise sul percorso da seguire. Una strada buia, stretta, senza via d'uscita. Registrano in pochissime sedute con un budget risibile; una sorta di presa diretta, come viene viene, il più spietati possibili. Escono dal gelido studio di registrazione con una sequenza di canzoni primitive, "Industriali" fino al midollo. Lugubri pezzi che scorrono tutti uguali, con monotonia, scanditi dal secco rintocco di basso e batteria in grado di frantumare ogni ostacolo. Non concedono un solo secondo di tregua; continuano a martellare con subdola violenza, campionando confessioni di serial killer. Un ascolto difficile, soffocante anche per chi è avezzo a sonorità così belligeranti, costruite, invadenti.

Poco meno di quaranta minuti che ti trascinano in un vortice deragliante, da fonderia industriale.

Un lavoro che in pochissimi abbiamo capito ed apprezzato in quelle annate disperate.

Riusciranno a fare ancora meglio con il successivo Desensitized molto meno debitore nei confronti dei Godflesh.

Diabolos Rising 666.

Carico i commenti... con calma