Che cos'è il progressive rock? La gran varietà di artisti e sottogeneri che viene comunemente incasellata in questa categoria rende una sua definizione assolutamente vaga e, di fatto, estremamente elusiva.

Nella sua accezione più restrittiva, il rock progressivo è un vero e proprio genere, che segue i dettami stilistici definiti da coloro che negli anni '70 ne sono stati i capostipite. Una vera e propria ripresa e riproposizione di canoni musicali cristallizzati, spesso inquadrata sotto le probabilmente più felici etichette di “neo-prog” o di “retro-prog”.

Ma esiste anche un'accezione decisamente più ampia ed aperta, che in pratica identifica il progressive rock non più con un genere ma con un'attitudine, un concetto di musica che ha come obiettivo il superamento dei confini tra i generi, la sperimentazione di soluzioni stilistiche sempre nuove e di sonorità inesplorate.

E' proprio in quest'ultima concezione di rock progressivo che va ad inserirsi l'omonima prova di esordio dei Pixvae, una delle band più originali della scena di Lione. La città francese è infatti da qualche anno sede di una realtà musicale estremamente attiva ed avventurosa, che ha prodotto un gran numero di gruppi, spesso accomunati dal condividere uno o più musicisti. Poil, Kouma, Chromb!, Supergombo, Polymorphie, sono solo alcuni tra i più seguiti di questi, tutti votati alla ricerca di ardite contaminazioni che non di rado hanno ottenuto una riuscita ben oltre ogni ottimistica aspettativa. Estremamente esemplificativa in tal senso è l'esperienza degli Ukandanz, probabilmente l'apice creativo di tutta la scena lionese, artefici di una riuscitissima commistione tra jazz/noise rock e musica popolare etiope. Ed è all'esperienza degli Ukandanz che si ispira la musica dei Pixvae, insolito ibrido tra il noise/jazzcore dei Kouma (chitarra, sax baritono, tastiere e batteria) e le più solari sonorità del currulao colombiano, affidate a due voci femminili ed una maschile, immancabilmente accompagnate da un set di percussioni (guasà, cununo, bombo e maracas).

Il risultato è assolutamente sorprendente, nessuna dettagliata descrizione potrebbe rendere sufficientemente bene l'idea dell'equilibrio raggiunto tra la durezza dell'impianto math rock/jazzcore e la leggiadra dolcezza della parte latina del gruppo. L'alchimia che lega sonorità tanto distanti in alcuni momenti ha davvero del miracoloso, probabilmente grazie al perfetto bilanciamento tra le due anime del gruppo, studiato e ponderato con rara accortezza. Il suono che ne scaturisce è un miscuglio riuscitissimo, compatto e ben miscelato ma in cui allo stesso tempo è possibile riconoscere ancora distintamente i vari elementi che lo compongono. Il gioco dei contrasti è gestito magistralmente anche nella strutturazione dei pezzi, in base alla quale è possibile riconoscere ancora una volta una suddivisione perfettamente equa tra due tipologie compositive. Brani come “Este nino quiere/Monte en el reloj”, “Garcita morena”, “La plegaria” e “Lancherito”, partono un po' in sordina, guidati dal cantato, per poi progredire attraverso un lento ma costante crescendo giocato sulla insistita ripetizione dei temi musicali, in cui l'anima dura e quella morbida del gruppo si intersecano, si stratificano e si sovrappongono continuamente, fino a legarsi indissolubilmente e a confondersi l'una nell'altra. L'esperienza è assolutamente spiazzante, forse paragonabile solo ad immaginare i King Crimson che suonano musica latina, per quanto la suggestione potrebbe sembrare improbabile, se non addirittura sacrilega. Ma la carica coinvolgente dei pezzi va assolutamente oltre, e anche l'ascoltatore meno propenso si ritrova a battere il tempo e a dimenarsi quasi senza accorgersene. Discorso leggermente differente per i rimanenti quattro pezzi, “La fuga”, “La luna està floreciendo”, “El curruco” e “El nazareno”, dalla struttura più semplice e lineare, in cui la commistione tra le due anime del gruppo è subito evidente, più immediata, raggiunta soprattutto attraverso lo smussamento della parte dura, a favore di sonorità decisamente più sbilanciate verso composizioni più orecchiabili (e a tratti anche un po' ruffiane). Ma il risultato è ancora una volta sorprendente e ben riuscito, omogeneo ed equilibrato, ancora in grado di stupire ed impressionare per la naturalezza con cui il suono sgorga in tutta la sua freschezza, di fronte alla quale non si può non domandarsi come mai soluzioni del genere non siano mai state proposte precedentemente.

Nel complesso un disco molto interessante e gradevole, che contribuisce ad ampliare ulteriormente gli orizzonti sonori di un certo modo di concepire il rock progressivo, alla ricerca di un suono sempre più variegato e multiforme e sempre meno schiavo di schemi e definizioni.

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