In quanto grande appassionato di musica, pop in particolare, scoprire e segnalare talenti emergenti è quasi un "dovere" per me; crogiolarsi esclusivamente nelle glorie del passato è inutile, a lungo termine non porta a nulla se non alla fossilizzazione e all'elitarismo d'accatto. Anch'io ho attraversato questa fase ma per fortuna l'ho superata maturando, e il percorso che ho deciso di intraprendere è molto più stimolante e anche più difficile di quanto si possa apparentemente pensare. Il pop lo si trova dappertutto, penserà qualcuno, ed è proprio per questo che serve una certa dose di dedizione per trovare delle novità valide; spuntano fuori di continuo nuovi personaggi, ma io non cerco personaggi, cerco gente con qualcosa di bello da proporre. E anche tra le "seconde linee" bisogna scavare tra spessi strati di noia, hipsteria e presunzione; quasi tutto viene etichettato come "indie", e qui ne approfitto per esprimere un sentitissimo augurio di emorroidi croniche a chiunque appiccichi questa etichettina insulsa e pseudo-elitaria a qualsiasi cosa non venda decine di milioni di copie; andate affanculo, dal più profondo del cuore. Insomma, per trovare artisti nuovi e validi serve soprattutto una mentalità indipendente nel vero senso della parola, vale a dire il più possibile libera da influenze e pregiudizi che non siano i propri, e un po' di egocentrismo non può che essere un bel valore aggiunto. Tutto il resto va a fortuna e a fiducia, i granchi che inevitabilmente si prendono seguendo questo metodo di ricerca si debellano semplicemente in base alle proprie sensazioni, senza provare a "farsi piacere" alcunchè. Niente di più semplice, e di artisti giovani (o anche semplicemente trascurati) e meritevoli ne ho già segnalati parecchi, gente poco in linea con gli "umori mainstream" del sito ma tant'è, la varietà è ricchezza dopotutto.

Detto questo, chiedo scusa a Polly Scattergood per non aver iniziato parlando di lei: "Music doesn't have to be strident to carry a strong message" e "You don't have to shout, you can say things and people will listen if they want to". Queste sono parole sue, parole che sottoscrivo in ogni sillaba, concetti che sono anche miei e che mi piacerebbe approfondire in tutte le possibili sfumature, ma non voglio rubarle altro spazio parlando di me e delle mie idee. Polly Scattergood è inglese, classe 1986, ha un paio di album all'attivo e incide per la Mute Records, etichetta che in ambito elettronica/synth-pop può vantare una gloriosa tradizione; lei e Little Boots sono un po' l'equivalente della Callas e della Tebaldi (e non chiedetemi chi sia chi, non ne ho idea) nel piccolo mondo del nuovo electro-pop made in UK, due artiste che su cui in teoria si potrebbe imbastire un dualismo fuffa stile Beatles-Rolling Stones, Oasis-Blur e robe del genere, in realtà sono perfettamente complementari, due facce, fresche e pulite, della stessa medaglia. Sono entrambe inglesi, bionde, appartenenti alla stessa generazione, hanno debuttato nel 2009, il genere proposto è il medesimo, hanno anche una vocalità simile, a differenziarle è soprattutto l'approccio. Victoria è più estroversa, si crea dei personaggi e li porta in scena, Polly invece è più emotiva, introspettiva, i suoi testi sono molto curati, sicuramente più della media del genere, e rappresentano un aspetto fondamentale della sua personalità; le due citazioni sopra riportate non sono vuoti proclami ma linee guida che definiscono e nobilitano la sua musica.

Ottimo songwriting, ma ciò non significa che l'aspetto musicale venga trascurato, anzi, penso soprattutto a "Falling", uno splendido archetipo di come dovrebbe essere la dance di oggi: beats potenti e "organici", voce felpata, chiare influenze techno-trance che definiscono un sound immaginifico e luccicante; questo pezzo ha proprio tutto, la potenza, lo slancio, l'eleganza, è un insieme fluido e perfetto, nè forzoso nè leggerino, semplicemente qualcosa che rientra nel meglio che il genere possa offrire. Un pezzo del genere non può che spiccare ma "Arrows" è un album solido e completo, tracklist ideale (10 canzoni), che significa assoluta scorrevolezza e assenza di materiale superfluo, quindi il "vertice" si integra alla perfezione, senza polarizzare eccessivamente l'attenzione a discapito di tutto il resto. "Cocoon" è un'opener bella e anche originale, una bella progressione ascendente con un tocco leggermente visionario, che valorizza la vocalità calda e sottile di Polly, molto espressiva e teatrale quanto basta, poi ci sono altri esempi di "compassionate disco" come l'intrigante "Wanderlust" e "Subsequently Lost", agile e vivace, appena velata da un tocco di malinconia; entrambe deliziose, così come il raffinato midtempo "Silver Lining", dall'incedere ben ritmato e di grande carattere che sfuma in una suggestiva dissolvenza finale.

E poi ci sono quattro ballads messe una in fila all'altra, che vanno a formare un nucleo centrale: scelta potenzialmente rischiosa ma Polly l'ha gestita benissimo, riuscendo a creare una sequenza varia e interessante, del tutto priva di fastiose staticità: c'è il crescendo emotivo della splendida "Machines", la dolcezza più classica e piano-driven di "Miss You", strappacuore e sdolcinata ma con stile e profondità, poi l'anthemica "Disco Damaged Kids" e "Colours Colling", un vortice lento di suoni ed emozioni, pura e semplice arte synth. Tante sfumature differenti per un bellissimo album, il manifesto di una ragazza sensibile che non si arrende alle brutture, alla grettezza e alla mediocrità del mondo, no, Polly Scattergood è luce, positività, empatia; sempre stando alle sue dichiarazioni, da ragazzina ascoltava Leonard Cohen (oltre a Erasure e Yazoo, questa è una cosa che abbiamo in comune), e si sente, l'ha interiorizzato benissimo. Interiorizzato, badate bene, non pedissequamente imitato, probabilmente è anche per questo che il suo songwriting è così maturo e comunicativo, basta una rapida occhiata al testo di "Cocoon" (una vera e propria poesia) piuttosto che "Machines", "Subsequently Lost" o "Wanderlust" per rendersene conto. Insomma, sono sinceramente impressionato, oltre che con Little Boots questo album presenta forti affinità con i lavori solisti di due autentiche icone come Sarah Cracknell e Geike Arnaert (bionde pure loro tra l'altro), e i suoi testi sono quasi al di Patrick Wolf per eleganza e capacità di evocare immagini potenti ed immediate. Raffinatezza e cura dei dettagli, grandi canzoni ma soprattutto un bellissimo sentore di umiltà e sincerità, in "Arrows" non c'è alcun cenno di spocchia e inutili sofisticazioni, ed in fondo è questa la caratteristica principale dell'album, quella da cui nascono, consequenzialmente, tutte le altre. Continua così Polly, dolce e spontanea come sei, e grazie ancora.

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