GENERE: Pop Sinfonico

Gli anni '70 sono stati un grande calderone a livello musicale. Anni dominati in generale dal prog, nato dopo gli sperimentalismi dei Sessanta. Ed in Italia? Bè, Battisti aveva cominciato ufficialmente nel 1969, giusto per tempo per condurre una decade infilando un successo dopo l'altro. Accanto a lui, De André rifletteva sulla società, impersonando il ruolo (scomodo) del rivoluzionario. Volendo scendere un pò, ma sicuramente non per grado di importanza, gruppi come Banco del Mutuo Soccorso, Area, oppure la PFM, proseguivano il sentiero tracciato soprattutto nel paesaggio inglese, e del quale maestri indiscussi erano i Genesis. Ed i Pooh? In questo piccolo universo si situa il gruppo bolognese, che nel 1975 pubblica "Un pò del nostro tempo migliore". La loro storia è singolare: pur esordendo con buoni album, culminati con la mirabile prova di "Parsifal" (1973) - subito dopo l'addio di Riccardo Fogli -, non ha loro giovato il pop autoreferenziale e poco propenso al rinnovamento degli ultimi venti - venticinque anni; con la conseguenza che ora il pubblico fa fatica a trovare qualcosa di buono in un gruppo che negli anni '70 - per tornare all'introduzione - era una vera band di culto.
Detto questo, nel 1975 i Pooh pubblicano due album, l'uno a poca distanza dall'altro, "Forse ancora poesia" e "Un pò del nostro tempo migliore". Entrambi avranno uno scarso successo commerciale, probabilmente dovuto al fatto di non contenere le solite hit da 45 giri, al punto di risultare semisconosciuti ai più. E questo è un vero peccato, perché proprio a causa di questi due insuccessi (ma, ripeto, solo sul lato commerciale) i quattro abbandoneranno il pop sinfonico - legato lontanamente anche al progressive - che ne aveva contraddistinto il quinquennio precedente, e con il quale si erano tolti anche qualche soddisfazione.

Il loro approccio musicale è facilitato innanzitutto dall'ottima posizione degli strumentisti; l'impianto ritmico è sostenuto con sicurezza da Stefano D'Orazio alla batteria - fondamentale la sua prestazione in Credo - e da Red Canzian, frequentemente licenzioso nelle fioriture e nell'andare fuori dagli schemi. Ma il meglio viene nella seconda metà del gruppo: Roby Facchinetti garantisce una presenza costante alle tastiere, ruolo che accompagna a quello di compositore e di cantante; Dodi Battaglia è la pietra angolare del gruppo, strumentista che poteva essere all'epoca considerato - dall'epico assolo di Parsifal (1973) fino all'esplosione chitarristica di Viva (1979) - il miglior chitarrista d'Italia e forse d'Europa.

Su queste solide basi si sviluppa allora il discorso musicale tracciato. Le canzoni sono forse un pò tutte simili - e questo può essere un difetto imputabile - ma tutte possiedono un invidiabile slancio poetico. Il paroliere Negrini sciorina testi dall'andamento onirico, talvolta allucinato, rispecchiando perfettamente lo stato d'animo delle canzoni: le parole sono il vero punto forte dell'album, più delle composizioni in sé stesse. Che pure vengono arricchite con strumenti nuovi, come il clavicembalo, il sintetizzatore moog ed il mellotron, oltre all'insostituibile supporto dell'orchestra, che conferisce corposità al suono definitivo. Brani come la già citata Credo, Oceano, più la triade finale 1966, Orient Express ed Il tempo, una donna la città danno bene l'immagine di ciò che il gruppo voleva essere al tempo: quattro musicisti alla ricerca costante dell'epicità, quasi della drammaticità (termine un pò forte) del suono, a volte anche a discapito del risultato finale. Si aggiungono poi due strumentali, l'iniziale Preludio e l'esotica Mediterraneo, con un Battaglia in gran forma; l'abbastanza insignificante Eleonora mia madre, prima composizione di D'Orazio; e per concludere la lunga suite (10'45'') Il tempo una donna la città, che cercando di raccogliere l'eredità di Parsifal lascia l'ascoltatore con l'amaro in bocca, per le aspettative deluse che un brano così lungo poteva portare.

Insomma, un lavoro a metà per certi versi ben riuscito, per altri parzialmente fuori strada. Ma è un album che riflette quantomai il suo tempo, ed in quanto tale va considerato.

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