La nuova fase della carriera dei Porcupine Tree giunge al secondo capitolo con questo "Lightbulb Sun". Infatti, dopo quattro album iniziali dove a dominare erano sonorità di matrice space psychedelic rock in chiaro stile Pink Floyd, con "Stupid Dream" la band ha deciso di distaccarsi da tali sonorità, che in qualche modo potevano spingere chi li ascoltava a considerarli addirittura dei cloni dei Pink Floyd, in favore di un prog-rock più sentimentale e delicato e sicuramente verso uno stile più personale e meno derivativo. Nel 2000 ecco che esce "Lightbulb Sun" sesto album in studio per la band britannica. In questo nuovo splendido lavoro viene confermata la svolta attuata con il precedente disco. Gli elementi che avevano caratterizzato "Stupid Dream" li ritroviamo ampiamente anche qui: brani delicati e profondi, che spesso sembrano seguire la forma canzone, parti di chitarra acustica molto sognanti, sottofondi di tastiera e organo tanto leggeri e rilassati da sembrare addirittura impercettibili e giusto qualche piccolo tocco psichedelico caratterizzato però da suoni più cupi. Caratteristiche che troveremo anche nel successivo "In Absentia" e anche nei titoli successivi, sebbene poi emergerà una certa componente metal. Personalmente io mi sento di preferire nettamente la seconda fase dei PT proprio perché mostra una band più personale. Se nella prima fase la band doveva parte del loro sound ai Pink Floyd e comunque al rock psichedelico degli anni 60 e 70 qua invece il sound si è fatto decisamente più distintivo a tal punto che i Porcupine Tree sono I PORCUPINE TREE e non più i nuovi Pink Floyd o roba simile. La band è passata da imitatrice (non in senso dispregiativo, per carità, visto che la personalità non è mai mancata a Wilson e soci) ad essere imitata (molte prog band moderne arrivano ad inserire in qualche loro disco melodie che si rifanno al loro stile).

Ma soffermiamoci sul disco. Le 10 canzoni proposte riescono a regalare davvero emozioni senza fine all'ascoltatore. Non avevamo mai sentito dei Porcupine Tree così sentimentali e intimisti. Vi posso garantire che chi ama le emozioni intense e profonde amerà questo disco al punto di non riuscire più a toglierlo dallo stereo.

Ad aprire il disco ci pensa la title-track "Lightbulb Sun" dove domina la chitarra acustica accompagnta da soffici tocchi pianistici, a cui si alternano momenti più elettrici e un delicato sottofondo di tastiera si affaccia nel ritornello. La traccia n° 2 "How Is Your Life Today" è un brano incentrato invece su un piano sul quale le dita si appoggiano in maniera molto soffice e accurata per due minuti e 46 veramente emozionanti. L'immediatezza invece viene fuori nella terza trccia, "Four Chords That Made A Million", con la chitarra elettrica in primo piano e caratterizzata da una struttura decisamente semplice ed essenziale ed un ritmo vivace che lo rende uno dei momenti più immediati del disco. Con "Shesmovedon" invece si torna a ritmi più pacati e intimi; brano che vede la chitarra acustica protagonista accompagnata da tocchi di chitarra elettrica, tra l'altro protagonista di un bell'assolo, e dei leggeri tappeti di organo ad accompagnare vari momenti della canzone. Uno dei brani però più di rilievo a mio avviso è "Last Chance To Evacuate Planet Earth Before It Is Recycled" brano che ritengo davvero uno dei più particolari del loro repertorio: l'inizio è acustico ma poi le delicate note di sintetizzatore ci introducono un'atmosfera surreale e rilassata dove le tastiere, il mellotron e il lieve synth di Richard Barbieri si rivelano protagonisti di uno dei momenti in assoluto migliori del disco; sopra tali suoni intervengono delle registrazioni vocali tratti dalla dichiarazione del capo della fondazione religiosa Heaven's Gate, gruppo religioso che sostiene di provenire da un altro pianeta. "The Rest Will Flow" rappresenta per molti l'episodio più pop della carriera della band. Sarà perché supera soltanto di poco i 3 minuti, sarà per la sua struttura canonica strofa-ritornello. Il brano è essenzialmente incentrato sulla chitarra acustica che viene qui accompagnata da un quartetto d'archi regalandoci un brano emozionante e allo stesso tempo immediato, che avrebbe potuto ottenere passaggi radiofonici. Ma si sa, le radio o sei un gruppo che suona "trendy" o non ti cagano. "Hatesong", con cui si arrivano a superare gli 8 minuti, è invece un brano dai suoni più cupi e distorti (Barbieri sempre decisivo in fase di programmazione del suono, elemento importantissimo nella loro musica); Colin Edwin molto incisivo al basso e anche l'approccio chitarristico sembra qui avere un carattere più cupo, ma il brano si addolcisce nei ritornelli grazie ad aperture tastieristiche e sinfoniche sempre molto pregevoli. "Where Would It Be" è invece interamente acustico, addirittura al punto di fare a meno delle tastiere, ma comunque concede lo spazio per un assolo di chitarra elettrica. E finalmente si arriva al brano più lungo del disco, "Russia On Ice", mini-suite di 13 minuti dalle atmosfere davvero impeccabili, con Richard Barbieri che come al solito dimostra di avere un'attezione ai suoni che davvero pochi tastieristi riescono ad avere. Apre qualche dolce nota di sintetizzatore, il brano è incentrato su un tappeto di organo sempre molto delicato e dei tocchi di chitarra elettrica vagamente alla David Gilmour in modo da conferire al brano un aspetto decisamente pinkfloydiano, poi nel ritornello veniamo guidati da altri arrangiamenti sinfonici; nella seconda parte invece il brano presenta arrangiamenti più cupi, protagoniste le chitarre elettriche, mentre il suono delle campane regala al brano un finale degno di nota. E credete che sia finita? Beh temo proprio di no! Manca ancora un ultimo brano e direi essenziale, visto che si tratta di una delle canzoni in assoluto più intense mai scritte dal gruppo, a dimostrazione che i brani più emozionanti non li scrive Tiziano Ferro! "Feel So Low" rappresenta il momento in assoluto più dolce dell'album e quello che più riesce a toccare le corde del cuore e farle davvero vibrare come un diapason! A regalare ciò vi è un delicatissimo arpeggio di chitarra elettrica ripetuto per tutto il brano e accompagnato da tastiere altrettanto lievi ed emozionanti.

Abbiamo finito così di ascoltare un capolavoro, che crea con il successore "In Absentia" un'accoppiata formidabile e irripetibile; effettivamente reputo quel periodo come il momento migliore per la band britannica, da cui dovrebbero sempre imparare e che dovrebbe essere sempre il punto di riferimento principale per la band quando l'intenzione è quella di scrivere un capolavoro. Mai un Wilson così ispirato, davvero. Consiglio questo titolo a tutti quelli che dalla musica cercano in primis le emozioni, ma anche a chi cerca l'accuratezza, la giusta misura delle cose, la razionalità, la voglia di mettere in condivisione un prodotto di qualità senza risultare troppo appariscente. Da avere!

Carico i commenti...  con calma