Nostalgia canaglia. Quando torno a casa per il weekend rientrando nella mia stanza sul mio volto c'è sempre un sorriso abbozzato fissando ciò che mi ha circondato fino ai 19 anni. Aumenta l'età e lentamente il mio piccolo rifugio straripa di cimeli. Straborda di libri e di un caos ben preciso per la mia mente che invece risulta ancora, giustamente, incomprensibile ai miei genitori. Credo ci abbiano fatto l'abitudine. Mi capita talvolta di passare in rassegna il Watchmen di Alan Moore che prende la polvere (male male), sfogliare quell'albo di Dylan Dog dimenticato in cima alla mensola o quelle pagine ingiallite di Lovecraft nella minuta libreria sopra il letto. Giro lo sguardo e vedo appeso il volto di Jane Doe che mi scruta impenetrabile, con lei si apre anche l'angolo preferito della mia camera da letto, quello nascosto sotto una bandiera californiana enorme: quello musicale. Centinaia di dischi e vinili collezionati ed avidamente ascoltati fin dai tempi in cui per stringere amicizia i primi giorni delle superiori avevi iniziato a parlare, con quello che poi sarebbe diventato uno dei tuoi amici storici, della copertina di Killers degli Iron Maiden. Proprio ieri il mio sguardo è caduto su una copertina dal colore radioattivo, una riedizione di Game Over dei Nuclear Assault trovata un po' per caso a Bruxelles. E qui, giù di sorriso. La voglia di rimetter sull'impianto stereo quella commistione di thrash e hardcore che durante l'adolescenza mi pareva fosse tutto ciò che la musica poteva offrire è incontrollabile. L'unico tassello mancante è ritrovare la Smemoranda con la foto di Dan Lilker appiccicata in frontespizio e poi l'operazione "nostalgia canaglia" (per l'appunto) si può dire completata.

Arrivo su Stranded in Hell e oramai ho iniziato a tirar fuori dall'armadio lo smanicato di jeans e le magliette dei Dirty Rotten Imbecilles un po' sciupate dal tempo, ma ancora in grado di fare la loro sporchissima figura. Mi era mancato quel thrash imbastardito dall'hardcore punk. Quanto mi era mancato. Tante volte quando leggo nelle news di un nuovo disco di Testament o Overkill lo ascolto per curiosità, ma oramai la mia soglia d'attenzione per il genere è scemata. Non ci trovo più il ritmo o la magia che provavo ogni qualvolta abbozzavo il riff di Rotten to the Core. Uh, a proposito di magia. Ho detto una parola magica: riff. Pare essere un'esagerazione, ma in un genere come il crossover thrash il riff è tutto. Il riff è Dio. Ti manca quello, puoi anche evitare di presentarti ai nastri di partenza. So che pare una lezione di flamenco per principianti, ma il riff unito al ritmo rendono i dischi intramontabili. Forse è questa dimenticanza delle basi, oltre al sapore di plastica delle produzioni recenti, che mi ha allontanato dal genere. O forse, semplicemente, si cresce. Qui piombano dal nulla i Power Trip perché sì, a un certo punto questa recensione dovrà pur parlare di Manifest Decimation di questi texani che hanno avuto il merito di far brillare gli occhi al sottoscritto, quasi quanto quando ascoltai per la prima volta Surf Nicaragua dei Sacred Reich. Li ho scovati con qualche annetto di ritardo (tre, per la precisione) girovagando a caso sulla lineup della Southern Lord di Greg Anderson e Stephan O'Malley. Mh, copertina dal sapore grind, mi dico, in periodo avaro di ascolti, boh, proviamoli: Alleluja! Siano riaperti i cancelli per gli anni '80 e il palm muting.

Otto tracce e tutto quello che c'è da dire, vien detto: riff, riff, riff, riff, riff. Caterve di riff che tagliano arcignamente l'aria. Fendono, oh, come fendono. Già il fine settimana musicalmente spingeva su quei lidi, i Power Trip mi fanno cadere in trance agonistica da headbanging perché quello che c'è da azzeccare, lo azzeccano. Ritmiche serrate e robuste che macinano quella violenza thrash in un mix hardcore che ricorda i Cro-Mags di The Age of Quarrel. Una combo fatale. La produzione non è marcia e sgangherata, ma è potente e con quei riverberi tipicamente old school che ti faceva credere che la voce fosse registrata in una caverna con degli echi distorti. Qui, insomma, parte subito il Paul Baloff e Bonded by Blood (e giù di lì) memorial. I Power Trip sono capitati al momento giusto, niente da fare. Dai riferimenti che vi sto facendo capirete che i nostri non faranno mai dell'innovazione il loro punto di forza, ma tutto fila liscio, per ricollegarmi a ciò che accenavo più sopra: ritmo. L'esecuzione dei nostri è impeccabile, non c'è nulla che pare artificioso. Le chitarre s'intrecciano e s'inalberano in assoli dissonanti. È la classica Jackson Randy Rhoads che perde il controllo e si fa letale fra gli stop'n'go vertiginosi e una sezione ritmica, quella di basso e batteria, che spacca le dinamiche messe in gioco dai Power Trip con una forza d'urto letale. I ragazzi di Dallas inoltre non sono in vena di quel crossover thrash caciarone alle Municipal Waste. Le strutture granitiche sono lì a dimostrarlo e i testi non parlano di extraterrestri, birre, mutazioni genetiche (oh, ho adorato sti gruppi, sia ben chiaro), ma piuttosto si sbilanciano sul classico pessimismo sociale alienante.

Basta una mezz'oretta disteso sul mio letto e i Power Trip risuonando con il loro adrenalinico Manifest Decimation fanno vincere la nostalgia canaglia. È un viaggio a quando esultavo perché i Dark Angel mi avevano scritto sulla bacheca di MySpace. O di quando il concerto dei Toxic Holocaust era atteso come non mai, un po' come le ristampe della polacca Metal Mind che rendevano accessibili pure a un 17enne lavori rimasti seppelliti nell'oblio degli anni '80 come Fear of Tomorrow degli Artillery. E di questo, ne sono felice. L'ennesimo esempio di quanto la musica per il sottoscritto sia in minima parte razionale, in soldoni. E se anche voi sentite la necessità di un sano momento di sfogo, forse i Power Trip possono esservi d'aiuto. Provare per credere.

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