1974. Djivas, oltre che essere un motore ritmico inesauribile, introduce nella band l’uso del basso anche come strumento melodico. Gli intrecci tra basso e chitarra e tastiere donano al sound della PFM una particolare spinta emotiva. Questa caratteristica unita ad una, sembrerebbe, inesauribile vena compositiva, mi portano a pensare che questo sia il loro capolavoro assoluto.
"L’isola di niente" propone anche sperimentalismi che vanno al di là della maniera, sono vere ricerche sonore, abbinamenti di stili distanti anni luce ma che, sorprendentemente, si amalgamo perfettamente.
La complessità maggiore dei brani, in questo caso, non significa una maggiore difficoltà d’ascolto, tutt’altro. I sinfonismi ed i tecnicismi delle varie canzoni non sono mai fini a se stessi, ma accarezzano e solleticano l’orecchio dell’ascoltatore immergendolo a volte in mondi immaginifici, altre volte in viaggio onirici. Splendide le melodie che arrivano dalla miscellanea di stili e derivazioni, ormai inconfondibile marchio di fabbrica della band.

“L’isola di niente” si propone subito con un’intro emozionante eseguita dal Coro dell’Accademia Paolina di Milano che ci trasporta in una dimensione quasi religiosa sfociando poi nel duro riff di chitarra di Mussida, accompagnato da una sezione ritmica micidiale, con controtempi e dialoghi tra basso e batteria, continui cambi di ritmo e atmosfere ed una grande ricerca sonora. E la coda finale, dove il Francone nazionale regge da solo con un arpeggio delicatissimo di chitarra acustica contrappuntato da un solo a quella elettrica che ci conduce in un mondo rilassante e onirico. E' come se vedessimo L'Isola e il suo mare circostante.

“Is My Face On Straight” propone un testo in inglese che dona continuità alla collaborazione con Pete Sinfield iniziata l’anno prima con Photos of Gosths. Il brano inizia con un arpeggio di Mussida sviluppando poi forme musicali spettacolari. Oltre alla prova maiuscola di Francone, anche il grande Pagani sfodera un assolo micidiale al flauto, probabilmente il migliore della sua produzione con la band. La splendida coda di Premoli alla fisarmonica, chiude uno dei più interessanti brani dell’album.

“La Luna Nuova”, a mio avviso il pezzo più bello dell’intero album è un brano complesso ma che scorre via come l’acqua di fonte. Parte leggero e poi si scatena in uno “shuffle” intriso di sapori mediterranei che sfocia poi in una sezione strumentale dove la band da veramente il meglio di se, tra sensazioni classicheggianti e ritmi sincopati quasi jazz.

“Dolcissima Maria” è una splendida ballata acustica, dalla melodia dolce e sognante. La coda strumentale ci ricorda, con grazia, che stiamo ascoltando un grande gruppo prog.

“Via Lumière” è uno strumentale di elevatissimo rango. Qui la PFM esprime il meglio in quanto a tecnica, musicalità, inventiva. Si apre con un lungo solo al basso di Djivas, per continuare con tempi dispari, linee di basso melodiche e, allo stesso tempo, jazzate e ritmiche, un assolo di flauto alla Jan Anderson e un grande Flavio Premoli che rinuncia alle sue fughe progressive per fornire, con un tappeto sonoro fondamentale, una prova maiuscola. Chiusura a sorpresa con un “tuffo” nelle acque caraibiche, serene e gioiose, disegnato da un tappeto sontuoso e romantico di tastiere.

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