Agli sgoccioli di una pionieristica stagione musicale esterofila sviluppatasi nella seconda parte degli anni sessanta, nella quale praticamente tutti i musicisti britannici di successo venivano stressati dalle loro case discografiche ad incidere qualche versione in lingua diversa dall’inglese per mercati a quel tempo ancora relativamente esotici, questo fu il contributo una tantum dei Procol Harum alla causa italiana. L’originale, superlativa ed appassionata semi ballata “Shine On Brightly”, dotata di lancinanti bicordi di chitarra di Robin Trower (il signore col nasone accovacciato più in basso di tutti), di sapiente arpeggio d’organo da parte dell’allora caposcuola Matthew Fisher (il tizio all’estrema destra della foto) e dell’abituale canto ricolmo di educato soul blues di Gary Brooker (il baffino seminascosto dal logo del gruppo) fu inopinatamente trasformata in “Il tuo diamante”.

Titolo e testo in italiano, interpretato con faticoso procedere sillaba per sillaba dall’ovviamente spaesato Brooker, erano dell’onnipresente Mogol ma non solo: dagli strateghi dell’importazione italica del tempo gli fu chiesto di trovare pure un titolo nuovo di zecca allo strumentale posto sul retro del 45 giri, per il fatto che l’originale “Repent Walpurgis” suonava assai ostico se non proprio sinistro, ed allora avanti con il gratuito ma innocuo “Fortuna”.

Questa “Fortuna” (o se lo si preferisce “Pentiti o Valpurga”… che dovrebbe essere una santa del nord Europa) è una riuscitissima accozzaglia di situazioni diverse che comprendono innanzitutto un nuovo riciclaggio, in quanto a tema d’organo, sia di “Whiter Shade Of Pale” che di “Homburg”, ovvero i due primi grandi singoli di successo della formazione. Poi il solito gentile contributo gratuito di certo Johann Sebastian Bach, musicista tedesco assai in gamba (eufemismo) che qui offre gentilmente il suo Preludio n.1 in Do maggiore, ineffabilmente arpeggiato al piano, paro paro, da Gary Brooker nell’interludio centrale del pezzo. Poi ancora la brillante soluzione al fatto che stavolta non si era riusciti a creare un testo ed una melodia vocale: ci pensò il chitarrista Trower, proponendosi con un solo di chitarra interminabile e articolato, sua performance più ardita e notevole fino a quel momento, appoggiata ad una distorsione assai confusa e imperfetta, tanto ingenua ai giorni nostri quanto allo stesso tempo tenera all’ascolto ed evocatrice di quei tempi pionieristici.

Il futuro riserverà a Robin Trower, una volta messosi in proprio col suo trio di rock blues hendrixiano, ben altri suoni (splendidi, lui è uno dei maestri della Fender Stratocaster) e ben altro fascino in quanto a tocco e fraseggio sulle sei corde (sublimi, lui è uno dei maestri… ma l’ho già scritto), rispetto a questa performance comunque per lui epifanica.

Tornando a “Shine On/Il tuo diamante”, risulta assai più gradevole nell’originale in inglese ma rifulge pure in questa raffazzonata versione in italiano (la base strumentale è la stessa medesima). Nel solito alto standard dei Procol del tempo l’organo, il pianoforte e la chitarra sono distribuiti con notevole amalgama ed efficacia e la voce teoricamente fuori contesto di Brooker, così calda e soul in un ambiente invece assai progressivo e manierato (ma con passione, specie per quanto riguarda il chitarrista) funziona alla grande: un pregevole singolo di vertice del pop di quel tempo.

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