Le app che permettono di cercare musica in rete risultano spesso invadenti e ci indirizzano, nella maggior parte dei casi, verso le classiche liste precompilate dall'algoritmo, limitando le nostre capacità di scelta e ricerca autonome.
Eppure a volte accade il miracolo, nel senso che tra tanti suggerimenti inutili, per nulla vicini alle nostre preferenze, possiamo incontrare dischi poco noti o addirittura sconosciuti. Li ascoltiamo, tra i video suggeriti troviamo qualcosa di simile e in questo modo le piattaforme streaming si trasformano in autentiche miniere d'oro, in grado di ampliare le nostre conoscenze in materia.
È così che ho scoperto The 5th Exotic, esordio del DJ, produttore e polistrumentista William Holland, meglio noto come Quantic.
Se pensate a un professore di Fisica con la passione per i nickname, probabilmente siete fuori strada.
Stiamo parlando di un talentuoso musicista inglese, allora ventunenne, che nei suoi brani mescola strumenti suonati dal vivo (chitarra, basso, pianoforte, organo e chi più ne ha, più ne metta) con campionamenti e altri gingilli elettronici, allo scopo di creare una miscela saporita e assolutamente intrigante.
The 5th Exotic è il primo album di questo eclettico compositore anglosassone. È un progetto che attinge con consapevolezza da molte fonti: l'hip-hop strumentale, il breakbeat di fine anni Novanta, le atmosfere suggestive dei Thievery Corporation e di Kruder & Dorfmeister, il cantautorato stralunato di Beck, il jazz.
Niente di nuovo, direte voi, soprattutto per un LP uscito nel 2001. E tuttavia chi lo dice che la musica debba essere per forza innovativa per essere bella?
Certo, William Holland non offre niente di veramente rivoluzionario; nonostante ciò, The 5th Exotic scorre liscio come l'olio e ci fa attraversare alcuni paesaggi sonori ricchi di emozioni, che evidenziano una maturità notevole per un artista emergente.
Uno degli aspetti più singolari del debutto di Quantic è l'uso massiccio di sample vocali pescati da dialoghi di film e vecchie incisioni, un particolare che conferisce una dimensione narrativa a varie tracce. È il caso delle considerationi estetico-filosofiche di "Infinite Regression", con quegli archi che all'improvviso aggiungono all'arrangiamento dei toni drammatici, oppure delle meditazioni dell'intrippante "Life in the Rain", una riflessione sullo smarrimento provato mentre si cammina senza una meta ben definita (da non sottovalutare il potente groove, nel quale confluiscono l'hip-hop, il jazz e i migliori Thievery Corporation).
Il resto della scaletta si avventura tra stati d'animo diversi, proponendo un sound mai noioso, stucchevole o derivativo e che coinvolge appieno l'ascoltatore, sebbene si tratti di un lavoro praticamente strumentale.
Capita così di imbattersi nella title track o nel delizioso breakbeat di "Through These Eyes", due pezzi che ci proiettano in un locale affollato dove si servono cocktail di ottima fattura e in cui, con un po' di fortuna, si possono scambiare due parole con la biondina che ci ha appena regalato uno sguardo ammiccante.
Il tempo di annotarsi il numero di telefono e ci si trova per magia nel Deserto del Mojave o in qualche luogo arido a metà strada tra gli Stati Uniti e il Messico. Merito di "Snakes in the Grass", irresistibile mix di elettronica e psichedelia sgangherata che ricorda il Beck di quegli anni. E vibrazioni simili le ritroviamo in "Common Knowledge", con Quantic che imbraccia la chitarra elettrica e ci regala un funk di tutto rispetto, tra riff azzeccati, fiati e melodie prese direttamente dai '70s.
Non mancano momenti più tristi o malinconici (il commovente giro di piano di "Time Is the Enemy", le atmosfere soffuse di "In the Key of Blue", simili a quelle del magnifico Peace Orchestra), mentre con The Picture Inside" ci si perde addirittura nei labirinti della mente, dove l'inquietudine e la paranoia sono sempre dietro l'angolo.
Chiude il tutto la breve "Morning", sorta di quiete dopo la tempesta che, tra chitarre rilassanti e ritmi lenti, ci culla dolcemente verso i titoli di coda.
Dopo l'uscita di The 5th Exotic, William Holland ha continuato a produrre con una dedizione incredibile e a pubblicare numerosi dischi. Purtroppo non li conosco e non posso dire se la qualità sia la stessa del fortunato predecessore, che come già detto si può considerare un'ottima fotografia degli stili musicali allora in voga.
La scelta adesso spetta a voi.
Se siete molto esigenti e cercate qualcosa di sperimentale, mai sentito prima, forse resterete delusi dall'esperienza. Se al contrario non avete troppe pretese, sicuramente vi siederete in poltrona, stapperete la vostra bibita preferita e vi gusterete un album che a distanza di quasi un quarto di secolo non solo non ha perso la sua freschezza, ma si ascolta ancora con grande piacere.
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