Mani avanti: questa sarà la peggiore DePagina che abbiate mai letto. DeBaseriota avvisato..

DePrefatzion:

Che questo sito sia ampiamente bazzicato da insulsi DeCerebrati D.O.C. (parlo di mè, of course) che esprimono le proprie onanistiche estroflessioni di natura musicointerioroculistica, e che il tutto assuma tratti che hanno del grottesco, se non tendente alla quotidiana eresia, né avevo ben donde, ma in questo caso (Cari, chè vi chiederete; “ma chè minc*ia dice/vuole, questo qua”) trattasi di inaccettabile et blasfema bestemmia. Altrochè.

Dico: ma cè nè rendiamo (seppur moderatamente) conto? Continuiamo così, facciamoci del male? Ennò! Eccheccac*hio! Orcocan! Orcoboia! Perdinci! (Praticamente)Cribbio!

Sul fantasmagorico DeDatabase manca (!!!) la de-recensione dell’arcaicamente fascinoso “Rage For Order” dei Queensryche: robbadamatti! Anzichènò!

Ma ditemi Voi se è il caso che ci debba pensare un incartapecorito, squagliato mononeuronico sfascialamiere da strapazzo à dover colmare cotanta infausta lacuna riguardante uno dei più magnificenti lavori di filiazione hard’n’heavy coniati nella seconda decade pre-neomillenaristica (dicesi 1986). Essia.

 

Memorie sparse: in effetti non c’ho voglia di redarre una vera DeRecensione.

Ricordo con esattezza, come fosse stato pronunziato giusto poche ora fa, il brufolosamente irrispettoso  interrogativo posto al poggiare della gracchiante puntina del giradischi nei microsolchi di cotanto vinile: “ma cos’è questa cagata?”: ora, naturalmente, non m’esprimerei più con cotanti esecrabili termini; erano tempi nei quali il musico-neurone esigeva perlopiù il riffone-facilone: in tal senso emerge alla memoria il formidabile “Condition Critical” dei Quiet Riot, “Stay Hungry” dei Twisted Sister e, perche nò, “The Ultimate Sin” del buon Ozzy Osbourne, i quali tra le circoscritte mura domestiche risultavano gettonatissimi sotto quest’ottica.

L’unico estratto, a dire il vero, che un po’ non mi dispiaceva era la percussivamente aliena (per gli standards dell’epoca) e curatissima “Neue Regel” e poi.. un po’ anche quell’altra strana.. “Gonna Get Close To You”: per il resto, in pratica, non c’era un brandello che catturava la mia orecchiuta attenzione.. pochissime le chitarre grattugiate con le quali afferrare la ramazza di casa à mo di chitarra invisibile, alcun refrain da cantare a squarciagola, niente batteria para-caciarona: alle mie orecchie risultava tutto troppo flebile oltrechè ostico-nonché-agnostico, per dirlo alla Trap.

Sta di fatto che mettilo oggi, mettilo domani (e anche dopodomani), forse più per autocostrizione che altro (non è che possedessimo, tra mè e i miei amici, tonnellate di dischi da ascoltare: il file-sharing non era ipotizzato neppure sui libri di fantascienza..), sul piatto del gracchiante giradischi casalinguo, gira che ti rigira iniziai a saggiarne e poi apprezzarne dapprima le spigolature più hard (che, ovviamente, preferivo): la ficcante “Surgical Strike” entrò presto in perseverante heavy rotation seguita a breve dalla liofilizzata ma possente “Screaming In Digital”.. insomma stò disco iniziava (seppur) moderatamente a piacermi: altrochè; ma meglio non dirlo in giro... non si sa mai: gli amichetti avevano la presa-per-il-fondello facile: i maramaldi.

Quasi in contemporanea usciva l’attesissimo “Quiet Riot III” (un mezzo flop ancorché ci seccasse assai ammetterlo) e quell’altra mezza palla ancestrale dalla copertina pseudo-modernista degli Iron Maiden (“Somewhere in Time”) che per quanto mi riguarda vennero presto accantonati in favore di questo disco-bizzarro dei cinque, dall’eleganti livree neo-rinascimentali vestiti, Queensryche..

Indiperciò, ascolto dopo ascolto, féci infine miei gli intricati, mai banali, incastri armonico-chitarristici dello svolazzante duo DeGarmo/Wilton, le corpulente, talvolta stentoree, ma ad uopo delicate vocalità del giovane Tate d’annata, il pulsantemente moderno basso di Eddie Jackson per finire, non ultime in ordine d’importanza, le pregevolmente diversificate tessiture percussive del buon Scott Rockenfield: il risultato è che a distanza di oltre vent’anni rammento alla perfezione ciascun passaggio sia vocale che strumentale: praticamente sono da ricovero coatto.

 

Clausura: mi ritiro nelle mie stanze.

Per non tediare oltremodo e più di quanto non abbia già fatto conchiudo testimoniando che ritengo “Rage For Order”, altresì in virtùte della raffinatissima produzione a cura di Neil Kernon (attualmente assai in voga tra le Death Metal bands!!), portatore d'una imponente progressione dal predecessore "The Warning", il vertice qualitativo massimo raggiunto dalla band di Seattle in termini di intensa capacità visionaria, estro, fantasia, lungimiranza sia dal punto di vista dei suoni che delle coraggiose soluzioni intraprese all’interno di questo imperituro lavoro.

A posteriori mi sono chiesto sé i Ryche avessero perseverato in questa direzione, anziché fare ritorno all’ovile hard’n’heavy del tanto acclamato (affatto disdicevole, sia chiaro) “Operation Mindcrime” (da un lato l'imponente grandeur interpretativa - “Suite Sister Mary” la ricordiamo tutti - dall'altra una tangibile normalizzazione nel suono complessivo), cosa sarebbero stati potenzialmente in grado di proporre e delineare.

E invece.

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