Eccomi al battesimo del fuoco, la prima recensione su DeBaser!
Dare un'opinione su un disco non è mai cosa facile, pertanto, cercherò di essere il più obiettivo possibile valutando puramente il piacere d'ascolto che mi dona l'opera che andrò ad analizzare.
Non mi dilungherò in vacui paragoni con altri artisti, tantomeno, in inutili cenni storici facilmente consultabili altrove. In buona sostanza darò il mio contributo alla condivisione di idee, pareri ed amore per la buona musica.
L'opera di cui vi parlo è del 1972, vecchiotta certo, ma in quest'Italia del "recupero" perchè non provare a "recuperare" grandi album del passato che, per un motivo o per un altro, non hanno mai ottenuto il successo che meritavano?
Uno di questi è sicuramente l'omonimo dei Quella Vecchia Locanda, che in 35 minuti scarsi fornisce un riassunto dettagliato di quello che era il prog rock classico (oserei dire sinfonico) in un'Italia degli anni 70.
Un crescendo di melodie che lasciano di tanto in tanto spazio ad una voce manieristica ma gradevole, sorretta da un magnifico tappeto sonoro impreziosito da un flauto e da un violino mai fuori posto. Le chitarre, sapientemente distorte, intrecciano trame coinvolgenti ora con le tastiere, ora con il violino ed il flauto in atmosfere spesso fiabesche sempre in bilico tra sogno e realtà.
Composizioni di gran classe anche se non particolarmente complesse con piccoli spunti di improvvisazione a sfociare nella psichedelia, niente di esagerato o particolarmente innovativo, ma è davvero un bel sentire.
Inutile cercare il brano migliore in un'opera prog, in particolare in una di questa qualità che fa dell'unità del discorso musicale uno dei suoi punti di forza.
Resta il rammarico che opere come questa sono state quasi completamente ignorate da un pubblico inspiegabilmente sordo.
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