Innegabili talento e sconfinata abilità comunicativa di interprete.

Thom Yorke è senz'altro capace di stimolare sensazioni dimenticate e ricordi più remoti.

Quello che per molti oggi è solo un fastidioso mugolio, e quella che per altrettanti rappresenta soltanto una band snob ed inflazionata, negli anni delle loro continue evoluzioni, hanno sempre avuto modo di mettere a punto qualche gemma di inestimabile valore, per poi rifilarla nel modo meno plateale. Possibilmente in qualche meandro oscuro del loro repertorio. 

Basti pensare a quella "How I Made My Millions", nascosta nel singolo di "No Surprises", in cui Yorke si strugge su quei pochi rintocchi di piano che lo accompagnano in un'alienata atmosfera casalinga, tra l'indifferenza generale e quella della compagna - la quale, rumorosamente indaffarata nelle faccende domestiche, contribuisce nel conferimento di quel senso di desolazione che trapela da una scarna esecuzione e dalle poche parole sussurrate nel genio di un momento di quello che per molti sarebbe soltanto un ordinario, inutile istante vuoto della giornata.

Cocente malinconia intinta in contrastante scenario di serene distese verdastre mosse da tiepido vento primaverile. Magari sul tardi, quando il sole comincia ad amarsi con l'orizzonte, ma è ancora troppo alto per smetter di scaldare. I peculiari tratti che caratterizzano le sembianze di quella impetuosa semplicità vengono molto spesso messi a fuoco in quella magica brezza che sa d'irripetibile.

"Harry Patch (In Memory of)" è destinata a diventare l'ennesima monumentale cavalcata melodico-spirituale tra le seconde linee.
Jonny Greenwood ne compone le musiche: un arrangiamento orchestrale per soli archi. Poche note introduttive, per un motivo che, come un fardello, accompagna l'ascoltatore pressappoco per tutto il percorso, la durata del brano. Yorke dimentica "In Rainbows", riesuma quella sua misticità interpretativa e fa il resto. Ancora una volta una melodia senza tempo. Come fu, senza scostarsi troppo da quella che rappresenta la discografia essenziale dei Radiohead, per la maestosa imponenza di "Let Down".

Harry Patch, scomparso il 25 luglio dello scorso anno, è stato il più longevo tra i reduci della prima guerra mondiale. L'ultimo soldato, l'ultimo uomo sulla terra ad aver custodito quei ricordi segnati dalla partecipazione attiva nelle trincee del fronte occidentale. L'ultimo soldato ad esser divenuto simbolo di pace, nel 1998, attaccando duramente i conflitti bellici da lui definiti "assassinii di massa legalizzati".

Muore ultracentenario - a centoundici (111) anni, detenendo persino il primato di terzo uomo più vecchio al mondo -, un paio di mesi prima della pubblicazione del componimento a lui ispirato e dedicato.
La pronta stesura di questo brano è la perfetta testimonianza del valore della semplicità. La stessa semplicità che ha fatto di un combattente, un grande uomo, e di una canzone, una piccola opera d'arte, questa.

Il singolo (pubblicato il 5 agosto 2009), ahimè rilasciato esclusivamente in formato digitale, è scaricabile a questo indirizzo al costo di una sterlina. Il ricavato sarà devoluto alla Royal British Legion, che si occupa di finanziare e sostenere socio-emotivamente milioni di invalidi civili, e/o coloro stiano continuando a servire le forze armate del Regno Unito (British Armed Forces).

E quel canto, invece, quel canto che sa di vecchio, altro non è che l'ennesima melodia mai sentita e conosciuta da sempre. L'ennesimo monumento scolpito nella notte dei tempi. L'ennesima interpretazione in grado di parlare la lingua delle coscienze, per giungerne all'inconscio e fomentarlo.

Liberare gli animi.

Carico i commenti... con calma