"Scotch_Mist", annunciato come un concerto dei nostri trasmesso da alcuni canali TV via internet, la notte di Capodanno 2007, non è in realtà un vero e proprio live, ma un documentario, di un'oretta scarsa, in cui Radiohead ripropongono, suonandolo interamente, "In Rainbows", seguendo peraltro una scaletta diversa da quella dell'album. I brani sono tutti registrati, in presa diretta, nella loro sala prove, eccetto un paio, e sono intervallati da alcuni brevi frammenti video. Insomma, una sorte di anteprima di quello che sarà il loro tour del 2008. Delle cover di cui si vociferava, da Bjork ai New Order agli Smiths, non è stato suonato alcunché.

A distanza di una decade dall'uscita di "Ok Computer", mi sento di poter affermare che il tema principale della musica dei Radiohead sia ancora la lotta tra l'uomo e la macchina. Qualcuno potrà obiettare che, se si impegnassero in qualcosa di diverso, potrebbero risultare più avvincenti. Ritengo invece che sia inevitabile: questa è la loro ossessione e tale rimarrà. Se si è interessati, offrono tuttora notevoli spunti di riflessione, alcuni dei quali desidero condividere con Voi.

La questione che più li preoccupa, per citare Benjamin, credo sia quella dell'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità. Ecco quindi la pubblicazione dell'ultimo lavoro in svariati formati ed addirittura senza supporto, senza materia. Ecco quindi la volontà di creare della musica, loro, che sono considerati, nel presente secolo, uno dei gruppi più compromessi con la tecnologia, che possa essere suonata da cinque, ma spesso meno, individui, assieme e senza l'ausilio di alcun computer.

Paradossalmente, tutti sono al tempo stesso superflui ma necessari. Vi è un momento del video in cui questa considerazione appare lampante. All' inizio di "Reckoner", il solo Thom Yorke suona la chitarra, mentre gli altri quattro sono impegnati a fornire la base ritmica. Ben sappiamo che attualmente tutto ciò è inutile: un paio di campionamenti e ogni cosa sarebbe risolta. Eppure... (i più anziani ricorderanno David Byrne, nel film di Jonathan Demme "Stop Making Sense", suonare "Psycho Killer" da solo con un beat-box: era già evidente in quel momento che i Talking Heads non avevano più ragione di essere). Johnny Greenwood, che, all'epoca dei primi dischi, era stato acclamato come chitarrista dalle notevoli doti tecniche, passa dal Martenot ad altre manipolazioni elettroniche. Quel che conta è la padronanza del mezzo ed il risultato. L'umiltà della propria prestazione rispetto al fine.

In tutto il documentario, non appare nessun altro, oltre a loro che suonano. Non un mixerista, non un ingegnere del suono, nessuno al di là del vetro. Radiohead vogliono dare la sensazione di essere autosufficienti, di avere pieno dominio su quello che stanno facendo. Unica eccezione, una "Faust Arp" suonata al tramonto in mezzo ad una radura, dai soli Greenwood alla chitarra e Yorke al canto. Si sente la voce di chi li sta riprendendo. Forse, non lo sappiamo, una decina di persone attorno ai due, oppure un altro membro della band. Ma loro due bastano ed avanzano, gli archi registrati in studio non servono. Ed io, per favore non alterateVi del paragone, ma ho pensato, come già avevo fatto all'epoca dell'uscita di "In Rainbows", a Nick Drake.

Resta da dire che questa volontà di controllo, li porta altre volte ad essere troppo vicini al suono del disco, per cui la dimensione live non appare avere senso. Mancano lo scarto, l' imperfezione, il vuoto, che rendono emozionante la realtà. Vedremo questa primavera come andranno gli spettacoli veri e propri.

In definitiva la partita è ancora aperta. Non so esattamente a che minuto siano, ma, secondo la mia opinione, sono ancora in vantaggio.

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