Sono stufo. Sono davvero stufo di sentirmi dire robe del tipo: "Ehi! Hai sentito The King Of Limbs? Mamma mia, fa proprio pena! I Radiohead sono finiti, non ne fanno più una giusta.". Sia chiaro: de gustibus non disputandum est, quindi ci può stare che "The King Of Limbs" ti faccia schifo. Ma da qui a dire che i Radiohead sono alla frutta beh, ce n'è di strada. 

Ed infatti qualche mese dopo l'uscita del disco, il quintetto oxfordiano opta per il ritorno nel The Basement per presentare dal vivo il loro nuovo lavoro. Ammetto che non potevano scegliere luogo e modo migliori per mettere a tacere tutte le angherie dei mesi passati. Lo show ci regala un Thom Yorke in grande spolvero (manco a dirlo), un Johnny Greenwood fondamentale (stavolta anche alle percussioni) e il felice innesto di Clive Deamer, batterista dei Portishead, che va ad affiancare il suo "gemello" Phil Selway. Alla faccia di tutti i maligni! 

L'apertura viene affidata a "Bloom". Ammetto che ai primi ascolti la versione su disco ha fatto storcere il naso anche a me. Mi sono dovuto ricredere. Dal vivo diventa quanto di più ipnotico ed etereo ci possa essere. Ruolo basilare per Deamer, addetto ai pad elettronici, che assieme a Phil crea un tappeto ritmico fortissimo. La chicca: Johnny alle percussioni con un rullante, un timpano e un paio di bacchette. Il secondo pezzo è un inedito. Stiamo parlando di "The Daily Mail", costituita da due parti. La prima è firmata con il sangue di Yorke: piano dall'andatura sghemba, voce dolcissima. Poi mano a mano il pezzo cresce fino ad introdurci alla seconda parte, in cui entra in scena tutto il resto della band. Brividi lungo la schiena.

Subito dopo arriva l'attesissima "Feral", uno dei pezzi più affascinanti di The King Of Limbs. Difficile fare meglio di quanto già fatto sul disco, ma i Radiohead ci riescono, sfoderando ancora una volta una sezione ritmica invidiabile (ancora una volta fondamentale il duo Deamer-Selway) e suggestive chitarre effettate. Il tutto contornato dai convulsi vocalizzi di Yorke. La successiva "Little By Little" è forse l'episodio meno riuscito del live, risultando debole e spiacevolmente rallentata rispetto alla versione sull'album. C'è bisogno di un pezzo da novanta per compensare questo piccolo passaggio a vuoto. Ed infatti ecco che spicca "Codex", indescrivibile per intensità e dolcezza. E' destinata a diventare un cavallo di battaglia per tutti i prossimi concerti.

Segue "Separator", altro pezzo molto interessante. A farla da padrona ancora una volta il drumming secco e diretto di Phil (coadiuvato dal solito Deamer e dal basso di Colin) e le geniali invenzioni di chitarra del trio Yorke-Greenwood-O'Brien che segnano un finale magico e trasognato. Si riparte con "Lotus Flower" che sancisce una perfetta intesa tra tutti i componenti della band. Se poi Thom si mette a ballare con le maracas in mano mentre canta, potete immaginare cosa può essere venuto fuori. Ci avviamo verso la fine con "Staircase" altra b-side segnata sempre dal duo percussionistico (e poi ci si chiede dove siano le influenze dubstep...) e "Morning Mr.Magpie" che in questa situazione diventa un convulso vortice elettronico. 

Una menzione speciale spetta alla conclusiva "Give Up The Ghost". Ingredienti: la voce magnifica (ora più che mai) di Thom Yorke, una chitarra, la regia di Johnny Greenwood. Bastano e avanzano per dar vita ad una delle esibizioni dal vivo più belle nella storia del gruppo. Un brano che sul disco era già un mezzo capolavoro, qui viene letteralmente investito di una luce paradisiaca. Vedere (e ascoltare) per credere. 

Il messaggio è chiaro: i Radiohead sono tutt'altro che finiti. Sono vivi e sono ancora capaci di regalarci concerti da togliere il fiato.  

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