Sono sempre stato dell'idea per cui la storia del power medal teutonico possa idealmente dividersi in due grandi periodi, assumendo come ipotetica linea di demarcazione il 1995, anno di pubblicazione di "Land Of The Free" dei Gamma Ray e "Imaginations From The Other Side" dei Blind Guardian.

Se da un lato, infatti, i predetti dischi possono (direi pacificamente) annoverarsi ancora oggi tra le vette assolute del genere, dall'altro è proprio grazie alla loro uscita che il power ha aumentato esponenzialmente il proprio bacino d'utenza, finendo per intraprendere quel processo involutivo che lo ha ridotto ad essere uno dei modi peggiori con cui sprecare il proprio tempo.

Credo, tuttavia, che molte delle critiche che oggi vengono mosse al genere (e ai suoi ascoltatori), perdano di fondatezza se riferite a molte delle produzioni più datate. In primo luogo perché, almeno fino ai primi anni ‘90, il power medal di matrice teutonica si poneva come un genere non ancora impaludatosi nell'insistita riproposizione dei propri canoni. Né va dimenticato che l'intera scena era formata da un numero tutto sommato ristretto di band e non si presentava ancora affollata da decine di gruppi fotocopia, collaborazioni inutili e progetti musicali al limite del ridicolo. L'ascoltatore medio poteva allora godersi dall'inizio alla fine una canzone senza il timore di ritrovarsi incastrato nell'ennesimo concept in quattordici parti ispirato ai temi di prima elementare del figlio di Tolkien, o nell'ennesima, interminabile fuga neoclassica in "tapping per alluce valvo & orchestra". Ma, soprattutto, v'è da dire che, perlomeno in Italia, il power non vantava certo un gran seguito di pubblico. Causa anche l'invasione grunge proveniente da oltreoceano, la difesa delle trincee medallare era affidata a gruppi ormai allontanatisi dalla tradizione anni '80, quali Machine Head o Pantera, oppure alle ben più estreme scene black e death. A coronare il tutto, vi era poi la circostanza per cui i dischi anche dei gruppi più noti (si pensi, ad esempio, ai Running Wild), erano di difficile reperibilità.

"Trapped!" ('92), sesto studio album per la band capitanata dall'istrionico bassista-cantante Peavy Wagner, si inserisce perfettamente in questo quadro di un power non ancora "corrotto" e, anzi,  ne rappresenta uno dei migliori esemplari.

Già due anni prima, con il buon "Reflections Of A Shadows", il terzetto aveva dato prova di essersi lasciato alle spalle le incertezze compositive degli esordi, per intraprendere una parabola evolutiva che avrebbe trovato una parziale battuta d'arresto soltanto otto anni più tardi, con l'uscita del comunque più che dignitoso "XIII". Forti non solo di una formazione tecnicamente all'altezza e ormai rodatissima, ma anche e soprattutto di un Peavy Wagner sempre più consapevole dei propri mezzi compositivi, i nostri riescono nell'impresa di sfornare un album estremamente dinamico, sfaccettato, in cui tutti gli elementi più rappresentativi del genere trovano la loro massima espressione.

Buona parte del merito va senz'altro attribuito al chitarrismo di Manni Schimidt che, proprio con "Trapped!", sviluppa quella sua tipica mescolanza di reminiscenze thrash, uso smodato di armoniche artificiali e innato gusto per la melodia, sino a sintetizzare un riffing aggressivo, nervoso, ma sempre molto "musicale" e catchy. Nella mani del chitarrista, ad esempio, la "tipica" grattugia power viene letteralmente smontata e rimontata senza libretto di istruzioni in ritmiche tese, apparentemente "zoppe", che paiono quasi incastrarsi a forza nei 4/4 della doppia cassa (sentasi, per tutte la tiratissima "Solitary Man", ma anche la thrashosa "Medicine" o l'attacco nevrotico di "Power & Greed").

Il risultato è un disco che pare quasi fottersene di suonare "medal" a tutti i costi. Un disco in cui la voce di Peavy, ormai parzialmente scremata da quegli eccessi di gracchiamento che ne avevano penalizzato le prime performance, pare spassarsela non poco in una ridda di ritornelli che sembrano scritti apposta per essere cantati a squarciagola sotto la doccia, melodie danzerecce  e linee vocali accattivanti. E non è un caso che, a svettare su tutti gli altri, siano proprio i due brani in cui la componente melodico-anthemica è preponderante: "Enough Is Enough" (un po' la canzone-manifesto di questa prima fase della carriera della band, in cui si fa notare il bel girotondo di legati chiamato a sostenere le strofe) e, soprattutto, "Take Me To The Water" (un piccolo gioiellino di medal melodico per grandi e piccini).

 

Credo che sia errato considerare il power medal tedesco come un unico calderone di ribollente materia marrone in cui è impossibile separare la cacca dal cioccolato.
Perché sono convinto che alcuni gruppi e alcuni dischi meritino un trattamento diverso e migliore, perlomeno tenuto conto del periodo in cui hanno fatto la loro comparsa e del pubblico a cui erano destinati.

I Rage sono uno di quei gruppi. "Trapped!" è uno di quei dischi.

 

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