L’avevo detto, non mi sarei sorpreso nel sentire i Rammstein produrre un lavoro più soft. Non che questo lo sia in termini assoluti ma relativamente in un certo senso sì.

Ad essere sincero non sono esattamente un grande amante del lato soft dei Rammstein, quando tentano il brano che spezza il ritmo, la semi-ballad o qualcosa che vi si avvicina a mio avviso non rendono granché, non li considero dei grandi fabbricanti di melodie, al contrario ho sempre considerato la melodia come il loro punto debole, la melodia nei Rammstein non è mai davvero struggente. Non escludo che l’uso della lingua tedesca possa inconsciamente influire sul mio giudizio, l’ho apprezzata e considerata adatta al loro stile aggressivo e tamarro, per via della sua cadenza altamente spigolosa, ma per lo stesso motivo non la considero una lingua melodica e molto musicale. A dire il vero per me non lo è neanche l’italiano, poco importa che sia apprezzato nel mondo e che sia addirittura la lingua della musica, nulla a che vedere con la musicalità e malleabilità dell’inglese; vuoi mettere la “l” e la “r” spigolosa dell’italiano con la “eeeellllll” o la “aaaaarrrrr” dell’inglese? Ma escludendo il discorso linguistico anche le linee melodiche dei Rammstein hanno sempre peccato di qualcosa, sanno di elementarità; beh un po’ tutta l’impalcatura strumentale dei loro brani è abbastanza elementare ma quando si tratta di melodia serve spingere di più.

“Zeit” potrebbe sembrare perfino un disco suicida sotto questo aspetto… e il motivo sta nel fatto che qui il sestetto tedesco decide di dare ampio spazio proprio a quei brani melodici che non erano certo il loro punto di forza. Ne contiamo ben 5, che su un totale di 11 sono quasi metà del lotto, numeri che mi riportano alla mente i Nickelback dal 2005 in poi. La cosa incredibile è che stavolta funzionano alla grande, sembrano proprio aver lavorato per portare le melodie ad un livello più alto. In queste tracce si riscontra un’insolita vena ambient e new age, a tratti sembrano davvero composte da un qualsiasi compositore di musica d’atmosfera. Quando ascolti la title-track, “Schwarz” e “Adieu”, quando senti le note di piano smaglianti e delicate, il basso iperprofondo, i cori sognanti ti sembra davvero di stare in un abisso, nelle acque di un oceano; e non sono da meno nemmeno “Meine Tränen” (ancora caratterizzata da un basso molto profondo) e “Lügen” dove i suoni sono all’incirca quelli di un’arpa abissale e la band sperimenta perfino l’uso dell’autotune (in maniera però assolutamente intelligente e non cafona). In pratica in quest’album i Rammstein hanno fatto del loro punto debole un punto di forza, e questo lascia a bocca aperta, ma l’impressione è che la scelta della band non sia casuale: la decisione di proporre come primo singolo proprio “Zeit” sembra mirata, come a volerci dire “guardate che nell’album ci saranno diverse cose come queste”.

Ci sono tuttavia altre idee in grado di catturare l’attenzione, come ad esempio l’apripista “Armee der Tristen” con la sua prevalenza di elettronica pesante ed il suo synth-pop metallico, “Angst” con la sua linea di basso dalle venature di un funk molto impoverito, oppure le simpatiche marcette imperiali di “Dicke Titten”. E ci sono ovviamente le conferme, con un occhio alle origini del gruppo: “Giftig”, “Zick Zack” e “OK” sono degne dei Rammstein migliori, hanno esattamente la formula dei primi due album, fanno combaciare metal ed elettronica per creare brani semplici, accattivanti e diretti, la cosa che forse sanno fare meglio.

“Zeit” è il salto di qualità che probabilmente non mi aspettavo, non è un salto radicale e totale, perché alla fine è un disco che suona comunque classicamente Rammstein, però c’è stato e mi ha stupito; meglio tuttavia rimanere con i piedi per terra e non montarsi la testa invocando un salto ulteriore che forse non arriverà.

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