Dai giornali ad internet, dalle piazze alla televisione, sentiamo sempre di più crescere, e montare nelle persone, nuove riflessioni e desideri di cambiamento. Soprattutto per chi si ritrova a fare i conti con il proprio futuro, sempre più incerto che mai, la prima cosa da fare appare chiara: innanzitutto superare quella parali sociale, quell'inerzia che ha reso possibile una lunga ed interminabile serie d'inganni, di truffe a danni d'ignari ed attoniti "benpensanti". Più passa il tempo, e più ci si sente in dovere di esprimere tutto lo sdegno possibile nei confronti d'ogni forma di potere, di controllo. E cosi ci ritroviamo oggi a parlare dell'indignazione, di questa nuova voglia di democrazia, che secondo il mio modesto parere, altro non è che l'altra faccia della rassegnazione: non sono queste solo mie considerazioni riguardo l'attuale situazione, ma anche delle premesse più o meno esplicite, e delle idee di fondo presenti nel nuovo album dei Rancid, "Let The Dominoes Falls": un disco registrato nel 2008 presso gli Skywalker Studios di George Lucas, ed edito però solo dal 2009, presso l'etichetta Hellcats Rec., una costola "indipendente", della meglio conosciuta Epitaph Records.

Un effetto domino hanno in mente i Rancid. Una scossa tale da poter scuotere dall'interno i pilatri del progresso cosi' come fino ad oggi credevamo di conoscere: una reazione a catena, che possa innescare la caduta, e dunque la fine, di ogni forma controllo sulle masse inconsapevoli. Segnare la fine d’ogni spregiudicata ingerenza delle multinazionali nei governi “democratici”. Troppi sono i danni irreparabili provocati dal lento sbiadire della democrazia, constatano i Rancid, e a giudicare dai non pochi esempi nostrani, sembrano in effetti confutate e cruciali tali occulte premesse.

Come già dagli anni 90', l'Eastcost U.S.A. dettava stili e linee guida dell'intera scena Punk Rock, cosi i Rancid, già dal primo accordo della traccia d'esordio del disco,"East Bay Nigth", loro ribadiscono da subito quello stile inconfondibie di sempre, che resiste ormai inesorabile ed immutabile al trascorrere degli anni.

"This Place" è invece il brano successivo: questo posto, "un racconto dell'orrore", un posto lugubre dal quale si può solo fuggire, o almeno tentare di cambiare. Un postaccio, in cui vige la sola legge del più forte; del profitto a tutti i costi. Dove è d’obbligo accumulare ricchezze a discapito di chi non può e non vuole realmente reagire all'oppressione. I Rancid, senza peli sulla lingua, sembrano riferirsi proprio a quelle democrazie di "Facciata”, che da un lato dichiarano l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, e dall'altro agevolano i delinquenti; serpeggiano complici fra i più efferati crimini; consentono disconnesse logiche d'indiscriminato profitto da parte di corporazioni e da parte di Holding spietate, scatole cinesi, matriosche dai raffinati raggiri; il tutto ben coordinato ed orchestrato da quelle "Menti illustri" ( ed "Illuminate!") che affondano e prolificano con le loro radici, arrampicandosi come erbacce fra le crepe del muro; stiamo parlando di lobby del potere che inquinano i mercati di tutto il mondo.

In "Up To No Good" il clima di festa lascia giusto il tempo di deglutire, almeno per un istante, le amare constatazioni dei fatti più recenti: gli arti in debito d'ossigeno, si scuotono intorpiditi. S’agitano a tempo di un irresistibile sound Ska Punk. La peculiarità di questo brano, e dei Rancid più in generale, è che basterebbero anche solo poche battute, anche il solo Raggamuffin del titolo per esempio, scandito un paio di volte senza alcun accompagnamento musicale, a farti dimenare le gambe, e sbracciare smodatamente. Gli Hammond e la sezione fiati rifiniscono a dovere il groove , asciugandolo da ogni eventuale barocchismo di troppo.

"I Ain't Worried", rassomiglia quasi ad un intramezzo Calipso. Fa qui capolino la voce consumata dell'ultraveterano Matt Freeman al microfono, il quale si cimenta in un Rap Core di tutto rispetto.(Meno riuscita, a mio avviso, la performance vocale dell'eclettico bassista in "L.A. River").

"Liberty & Freedom" è un brano di pura ascendenza Raggae. Pezzi come "The Bravest Kid", "Damnation", "Locomotive", sono molto semplici da digerire, e stabiliscono un impatto diretto con l'ascoltatore, come da buona tradizione Punk Rock.

"You Want It, You Got It" , "Lulu", anche queste arrivano dritte al sodo. Di brevissimo minutaggio, scorrono senza troppe difficoltà. Meno ardimentose dal punto di vista sperimentale, ma non per questo meno degne di nota.

-Il primo singolo estratto da "Let the Dominoes Fall" è "Last One To Die". Un brano Hardcore alla vecchia maniera tanto per intenderci. Qui confluiscono tutte le atmosfere cariche e roboanti a cui i Rancid ci hanno abitutato da sempre.

Lars Frederiksen e Tim Armstrong insieme rappresentano un duo canoro d'indiscusso valore. In "Disconnected" danno vita di fatto ad un simpatico "Botta e risposta", alternandosi nell'esecuzione rispettivamente di strofa e ritornello.

Lo stesso accade in "New Orleans". Si tessono qui le lodi della città che diede i natali ad un gran numero di generi. Della "Stoica grazia" con cui si risolleverà dopo l'immanente catastrofe provocata dall'uragano Katrina: la peggiore ecatombe della storia della musica intera: "...You see i lost my toungue and i burn my Bible, but made it back home to the New Orleans...", recitano attoniti.

“Civilian Ways" è una traccia acustica dal vago sapore Country: gli slide di chitarra evocano una pacata atmosfera da "Unplugged".

"Let The Dominoes Fall" oltre ad essere l'omonimo del nuovo album, suona anche e soprattutto come un'anarchico ed intransigente presupposto; un simbolo, quello del domino, che richiama direttamente alla caduta di ogni stigma di potere, cosi' da poter ripartire e risdisegnare tutto da capo.

"Skulls City" è un incisione dal suono inconfondibile delle periferie: Rap misto al Punk, all'Hip Hop, all'Hardcore. Una traccia indelebile, ed una trama questa caratteristica della Band.

"Let The Dominoes Fall", in fin dei i conti parla del nostro passato ed del futuro, e si potrebbe quasi credere che faccia il verso, a quel celebre e dissacrante inciso di "Anarchy in U.K.": il famosissimo "…No future for me…" dei redivivi Sex Pistols. Per i Rancid la realtà appare più sfaccettata rispetto alla delusa e secca protesta di Rotten e compagni. Una nuova rinascita ci attende, una nuova rotta da tracciare, un nuovo possibile indirizzo da seguire, un nuovo mondo dunque, a partire proprio dalle macerie di quello precedente, e dalla caduta di tutte le tessere che compongono il domino del "Potere"!

Emilio Pantuliano

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