Patrick Kindlon è uno strano personaggio. Un ragazzo allampanato, che sotto ai lunghi capelli biondo cenere e gli occhi di un intenso azzurro nasconde un volto punk, un corpo ricoperto di tatuaggi fino al collo.

Dopo dieci anni di carriera con gli End of a Year, Patrick e i suoi amici musicisti decidono di cambiare le carte in tavola. Cambiano nome, che diventa Self Defense Family. Cambiano etichetta, unendosi alla grande famiglia della Deathwish Inc., e ripartono da zero.

L'esordio con il nome di Self Defense Family è del gennaio 2014, quando viene dato alle stampe Try Me. Il suono della band newyorkese di fatto non cambia, rimane quel post-hardcore figlio del punk anni novanta e del post-punk intellettuale della NY di fine anni ottanta. Un album corposo, intenso, muscoloso, intelligente. Un album che odora di locali underground stracolmi di gente sudata, di strade notturne trafficate e umide, di vera vita vissuta.

"Tithe Pig" ha l'incalzante incedere del punk dei Fugazi, con il testo narrato da Patrick con voce rotta e rugginosa. Un vero confessionale delle proprie esperienze e delle proprie emozioni, un flusso di parole che si avvicina allo stile dei La Dispute. Ma se in quest'ultimi c'è più "romanzo", nei Self Defense Family nulla è romanzato, tutto è estremamente realistico e duro, come un pugno dritto in faccia. "Nail House Music" grida a caratteri cubitali Drive Like Jehu. Un inno sferzante e metallico, ritmiche hardcore e chitarre che si sfogano nella coda finale più strettamente punk. Non mancano momenti più riflessivi, come nella lenta ma tagliente "Turn The Fan On", che vocalmente ricorda a tratti il Lou Reed degli anni settanta.

La formula vincente dei Self Defense Family sta nel racchiudere in ogni brano dei momenti di vita reali, con testi mai banali e anzi sempre aggressivi e ironici. La forte personalità del leader Patrick Kindlon fa il resto, donando ad ogni pezzo un'irresistibile aura decadente e urbana. Nella lunga "Apport Birds" si sente un deciso eco grunge, che strizza l'occhio agli esordi dei Nirvana nella piovosa Seattle di fine anni ottanta. Un blues sbilenco e ubriaco, con la voce trascinata e dai toni fin troppo alti. "Aletta" invece è la riprova che le basi della band sono hardcore punk.

Unico difetto del disco è l'infinita intervista, divisa in due parti distinte, all'ex pornostar Jeanne Fine (ritratta anche in copertina e nel booklet interno). Un'intervista di quaranta minuti in cui l'attrice (che nel disco viene chiamata col nome di battesimo Angelique) si spoglia di tutto e si racconta. Un racconto che è sì interessante, a tratti divertente e a tratti commovente, ma che una volta ascoltato non ha più senso risentirlo daccapo una seconda volta. Le due tracce, infatti, di venti minuti ciascuna, poste una al centro della tracklist e una alla fine, appesantiscono il disco e fanno quindi premere skip all'ascoltatore.

Try Me, in definitiva, è un album riuscito. I Self Defense Family hanno uno stile unico, fatto di racconti reali, nitidi, privi di qualsiasi retorica e abbellimento inutile. Sono sanguigni, potenti, satirici. Sono punk urbano e intellettuale. Try Me è la storia di due vite vere, due realtà messe a nudo. La vita di Patrick, giovane cantante punk e di Angelique, pornostar ormai invecchiata. Dopo numerosi EP pubblicati in questo anno e mezzo (notevoli gli split con Creative Adult e Touché Amoré), sono pronti per pubblicare il nuovo album, che uscirà a fine giugno, e sono certo che sarà un altro grande album targato Deathwish.

Carico i commenti... con calma