Dopo Buffalo Tom, Vi racconto oggi di un altro trio dei bei tempi che furono, a mio modesto avviso sottovalutato come i ragazzi di Boston. Anche Rein Sanction si formarono, in quel di Jacksonville, Florida, sul finire degli anni' 80. I due fratelli Gentry, rispettivamente Mark alla chitarra e Brannon alla batteria, con l'aiuto dell'amico Ian Chase al basso, dopo un primo disco autoprodotto a tiratura limitata, esordirono su Sub Pop con questo "Broc's Cabin" nel 1991.
Attenzione però, non è il solito suono dell'etichetta di Seattle del periodo, composto da fuzz e muri di chitarre a bassa fedeltà, tipico delle registrazioni di Jack Endino, quello che ci regalano questi, all'epoca, ventenni. Già la produzione di Mark Kramer, più comunemente conosciuto semplicemente come Kramer, fondatore della Shimmy-Disc, artefice di vari strampalati progetti quali Shockabilly e Bongwater e membro per un breve periodo dei Butthole Surfers, dovrebbe darVi qualche indicazione.
Siamo infatti dalle parti di una psichedelia venata da irruenze punk, ma talvolta anche da latenze folk. La scena è dominata da una chitarra feroce, con reminiscenze Hendrixiane (ed infatti, nel successivo "Mariposa", vi sarà una cover di "Ain't No Telling" ), suonata quasi sempre su note e non accordi, speziata sovente da un variegato wah-wah. I brani sono tutti piuttosto corti, dalle parti dei tre minuti, con stacchi in rallentato. Voce sullo stesso livello di volume degli altri strumenti, sezione ritmica non particolarmente innovativa, ma che in qualche momento ricorda i primi Minutemen.
La copertina mi sembra ben raffiguri il suono della band, che è in qualche modo sfuocato e destrutturato, un paesaggio visto in lontananza. Ma proprio questa mancanza di un centro di gravità rappresenta ai miei occhi anche il maggior fascino dei Rein Sanction: spesso mi è infatti capitato di rimettere, appena terminato, il disco dall'inizio. Riascoltandoli ancora adesso mi sembra che ci sia sempre qualcosa che mi sfugga nel fluttuare delle loro visioni.
Nota di merito infine per "Sideways Down", che ha un giro d'accordi che adoro, ma che, come le altre di canzoni del disco, finisce prima di essere conclusa, strana deriva di talenti che non sono entrati nella storia, ma che sicuramente meritavano un'attenzione maggiore di quella concessa loro.
Quattro stelle da intendersi sette decimi.
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