1988, sede della Warner Bros., il signore della Warner fa: ”Ok: questo è il contratto, 5 album a queste condizioni; firmate qui…”, Stipe & co. ribattono: “Le condizioni le decidiamo noi, gli album sono nostri, il gruppo è il nostro! Se le va bene è cosi, altrimenti abbiamo ricevuto molte altre offerte... non ci importa se sul retro degli album c’è diseganto lo scudo della Warner o la Terra della Universal, vogliamo fare musica come diciamo noi ok?”. Il direttore ci pensa e fa: “Ok, avete carta bianca.”, e il gruppo contento chiede: “Dove dobbiamo firmare?”.
Ho sempre immaginato che il momento della firma per la Warner fosse stato cosi (o quasi).

“Green”: il verde, della natura, dell’ecologia, della terra e dei soldi; uscito un anno dopo il superbo “Document” mostra molti lati: nel pop ironico di “Pop Song 89” Stipe si diverte a strafottere la banalità della canzone pop: “Dovremmo parlare delle condizioni atmosferiche? Dovremmo parlare del governo?”; nella divertente “Get Up” si possono ammirare le ormai collaudate voci incrociate: due, tre, quattro, non importa! Dopo si è talmente felici e ottimisti che il resto non importa! Ecco la prima gemma: “You Are The Everything” segue la scia di vecchie canzoni acustiche come “Wendell Gee” o “Swan Swan H”, lascia i brividi; e ancora pop rock con “Stand”, di quelli felici, spensierati, con finale da party estivo, quei party dove si fanno i trenini ingenui: “Rimani nel posto dove sei” ripetono le tre voci di Michael Stipe. “This is my world, and I am world leader pretend” ironia mescolata a tristezza in “World Leader Pretend”, traccia che parla in qualche modo della guerra, e che lascia il posto a “The Wrong Child” un’altra canzone povera di arrangiamenti ma che fa accapponare la pelle: una chitarra, un mandolino e due voci di Stipe che cantano lo stesso verso in due toni diversi, una bassa e una più alta, non si sa quale seguire delle due; ma è tempo di rock con “Orange Crush” rivolta all’ ecologia, alla demolizione della natura: la batteria parte come una mitraglietta e da il via a una rock song da arena.
“Turn You Inside Out” è un buon rock ma ricorda troppo “Finest Worksong” mentre “Hairshirt” imita le precedenti acrobazie acustiche senza troppo successo. “I Remember California” è rock trascinato e stanco, la chitarra suona una parte che poteva essere assegnata agli archi e il basso praticamente regge tutto il verso dettando la melodia, la batteria è marziale. L’ultima canzone senza titolo è l’esperimento finale con risultato ottimo: scambio totale di strumenti, Stipe ormai con i suoi intrecci vocali fa parte di un’altra dimensione, il chitarrista viene sbattuto dietro la batteria (e tira fuori un ritmo stranissimo), il basso prende la chitarra e il batterista imbraccia il basso, come a dire: “stravolgiamo la formazione, chissà che viene fuori!”.

È questo quindi il verde dell’allegria, dell’ottimismo e della spensieratezza che si respirava in quegli anni… la storia continua.

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