Il 7 marzo 1985 un infante francese festeggia il suo secondo compleanno sulle note di “We are the World”, celebre brano voluto da Micheal Jackson, Quincy Jones, Stevie Wonder e Lionel Richie a favore della carestia etiopica, assecondando la musica con ritmici colpi di mani sulla torta.

5 anni dopo, lo stesso bambino, incontra Michel Petrucciani e s’innamora della sua musica, del pianoforte e del jazz, cominciandolo a studiare incessantemente, un pedissequo dello strumento.

A 15 anni viene valutato idoneo per sostenere l’esame di diploma per pianoforte e musica jazz, ma per motivi anagrafici deve aspettare i 18 anni per potere ottenere il titolo, ma nei tre anni che antecedono tale riconoscimento, diventa un concertista di fama nazionale, sia in ambito classico, che jazzistico.

Questo talentuosissimo artista transalpino si chiama Rémi Panossian (piano e Fender Rhodes) e nell’anno corrente, a 36 anni, è uno dei pianisti jazz con più interesse tra Francia, Germania e Asia, dove ha riscontrato un grande successo, mediatico e di pubblico.

Nel 2017, assieme a Maxime Delporte (contrabbasso, basso elettrico) e Frédéric Petitprez (Batteria, Percussioni, Metallofono, Sampler), ovvero il Remi Panossian Trio (RP3) realizza, a mio avviso, il loro album più riuscito, variopinto e coinvolgente.

E’ un lavoro completo, che affronta tantissimi aspetti della musica jazz moderna. Fusion, incastri ritmici, melodie dolci, armonie intricate, crossover hip hop, raffinati tappeti cordofoni tutto inserito in 10 pezzi che non stancano e tengono viva l’attenzione nell’attesa del brano successivo. Sicuramente non si può giudicare l’interezza dell’album dal semplice ascolto di 1 dei 10 pezzi che compongono questo puzzle coloratissimo e variegato.

Non ritroviamo un solo pianismo. Michel Petrucciani sicuramente, anche Otmaro Ruiz, Brad Mehldau, Shai Maestro nelle sue influenza, ma c’è tanto di suo in termini di idee, arrangiamenti e dinamiche.

Il titolo dell’album, “Morning Smiles”, viene espresso perfettamente dall’omonima prima traccia, che grazie anche all’orchestrazione dei MozArtichaut (Sophie Castellat, Ophélie Renard, Arnaud Bonnet, Juliette Barthe), spesso utilizzando un pizzicato veramente pregevole, strappa un sorriso e mette di buon umore.

“Think Green”, posta come seconda traccia, mostra subito una freschezza interpretativa mixando beat hip hop, il rap di RacecaR (I-Ching, Langston Bukowski, Modill, Sax Machine, The Green Brothers nelle sue collaborazioni), ad un basso funk ed ad interessanti assoli al sassofono della tedesca Nicole Johänntgen.

La componente fusion è molto presente nelle tracce (“Vintage Bimbo”, “Wanna beat the Flakes” e “Rocky Cat” con la quale si chiude l’incisione) in cui sono presenti Nicolas Gardel (trombettista MOSTRUOSO) e Ferdinand Doumerc (sassofono alto e baritono).

Decisamente introspettive “Cactus Trauma” con l’eterea cantante lirico/jazz Ayako Takato e “La Keyaki” grazie alla presenza della flautista e cantante Maia Barouh, con una prima parte che ricorda quasi un rito animista con un fondamento jazzistico a supportare il brano.

La traccia più articolata è “Ultraviolet”. Ad un “grooviglio” ritmico sul basso continuo della sinistra di Panossian, si insinua prima un balzoso contrabbasso, poi l’unisono vivace e limpido tra mano destra pianistica e l’apparentemente svogliato sax della Johänntgen, che poi si trasforma in un suono sguaiato, per anticipare lo splendore pianistico di Remi Panossian, finalmente arioso e luminoso protagonista. I due strumenti si incontrano, si separano, si inseguono, si ritrovano e giungono al climax con totale enfasi ed empatia. Dopo una breve reprise delle scorribande dell’intro, il trio passa dall’essere un classico trio piano, basso, batteria ad un approccio sempre più tetro, marcato, ostinato, sino a… NO SPOILER!

“Surprise Pong” fa respirare la mente con un approccio disimpegnato ed electrofono, con una ritmica viva, ma conciliante, mentre “High Tech” lo vivo personalmente come un omaggio al pianismo geniale ed ispirato di Esbjörn Svensson, minimale, ma mai banale, tecnico, ma eliminandone la pesantezza dell’ostentazione, melodico, ma non scontato, con l’ultimo minuto tutto da gustare.

Lo ritengo un album clamoroso, praticamente sotto ogni punto di vista, ed invito chiunque ami il jazz o sia semplicemente curioso, di buttare in playlist questo kaleidoscopio musicale.

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