La testardaggine dei musicisti e la loro unicità è cosa ben nota: uno straripante ego unito spesso a personalità fragili, complesse e complicate, sentire così tanto il palcoscenico ma non saper minimamente autogestire una carriera, un mood regolare e accomunante che da Mozart a Ray Charles oggi rende così gustosa, con quella improvvisa punta amarognola, ogni biografia scritta, ogni pellicola celebrativa, e finanche le divagazioni consumate quotidianamente in un libero blog di recensori.

In molti casi neanche la morte è riuscita a fermare la tempesta perfetta, cementando molti miti al momento giusto, ma sono altrettanti i trascinamenti riservati a una realtà non più legata al fiore degli anni, nemica giurata della performance, dello sguardo fisso e fiero verso il pubblico, dell'applauso strappato a ogni costo.

Oggi il rock ci rivela quotidianamente non solo il bollettino dei deceduti, ma anche quello dei naviganti col gommone sgonfio, perche' i veloci brigantini, i galeoni da arrembaggio, e perfino le placide caravelle hanno da tempo cambiato proprietario. Come disperati profughi, con pochi mezzi queste ombre del passato tentano la traversata.

Impressionante e agghiacciante la visione di una Annie Haslam su YouTube, a cui non resta che inscenare una televendita nel tentativo di rifilare una serie di memorabilia per finanziare la realizzazione del nuovo album dei Renaissance: altro che raschiare il fondo del barile, qui c'e' solo da infilarsi nel barile per restare a galla, nell'attesa di un segno a pelo d'acqua che possa anticipare lo sbarco.

Il segno non si fa attendere troppo, ma non proviene dall'esterno: stremato dagli stenti, il vecchio nostromo Michael Dunford chiude gli occhi per sempre senza che gli altri se ne accorgano, e nello sgomento generale, un luccicante lembo terrestre si staglia davanti alla mesta imbarcazione.

Grandine Il Vento avrebbe rischiato di far la fine dell'autore, senza il suo "provvidenziale" sacrificio: come nel caso dell'EP The Mystic And The Muse, un trittico di brani pubblicati nel 2010 e distribuito durante i concerti, nessuno oggi si sarebbe accorto della bontà dell'operazione e del recupero di un sound rievocante quei furiosi abbordaggi in piena regola, quella maestosità sonora impossibile da eguagliare, quelle epiche proporzioni così inopportune in un 2013 dominato dalla vacuita'.

Non resta quindi che porgere il braccio all'impeccabile Annie, 66 anni di cinque ottave ancora presenti in tutto il loro splendore, registri bassi da signora agèe ma absolutely stunning negli acuti, con pochissimi overdubs da lasciarla libera di esprimersi e di concludere diversi episodi alla sua maniera, come nessun altro/a ha saputo fare nel Progressive: Symphony Of Light in una dozzina di minuti trova la chiave del forziere e lo apre, nella speranza che tutti possano godere di quella luce sfavillante, di quei doni preziosi. Movimenti che si tuffano l'uno dentro l'altro, grandi aperture e delicate armonie si sovrappongono con la solita eleganza, certo, non e' uno Steinway Grand Piano o un David Rubio Harpsichord cio' che si ascolta, il budget, lo ripeto, e' quello che e' ma sfiderei chiunque a tirar fuori un arrangiamento come questo.

Il principale punto di forza sono proprio le composizioni: Michael Dunford aggiunge intro di acustica battente e appassionati assoli classicamente rifiniti al consueto pianistico background, riallacciandosi a quel suono perso dopo il 1978, incastonato tra Prologue e A Song For All Seasons, per intenderci. Qui a far la differenza sono le ospitate, notevoli le fiatate percussive alternate alla magia espressiva del flauto di Ian Anderson nella suadente Cry To The World, riuscita via di fuga tra i ricordi di Carpet Of The Sun e Northern Lights... perfetto 45 giri per la fantasia dei vecchi fans. Altrettanto evocativo risulta il duetto di Annie con John Wetton, una Blood Silver Like Moonlight dai toni dolenti e quasi cinematografici, fatta di parallelismi e improvvise doppie linee vocali... purissimo mestiere. Una certa aria di musical si respira anche in Air Of Drama, ma è nel tipico Renaissance Sound la capacità di creare ancora grandi cose: la Title Track, molto simile nella struttura alla classica Ocean Gypsy, è una nuova palestra vocale, cosi' come The Mystic And The Muse, recuperata dall'EP di tre anni fa, una cavalcata epica da brividi, pomp and splendour allo stato puro, piena di cambi di tempo e atmosfera come se 40 anni non fossero affatto passati, una minisuite che da sola vale il prezzo del biglietto... e anche quel gioiello fuoriuscito dal forziere, finito silenziosamente nella mia tasca.

Finito lo spettacolo, tutti escono felici e contenti, Amazon per aver distribuito l'album, Annie per aver già sostituito il povero Michael con un nuovo chitarrista, gli appassionati convinti che il "Mors tua, Vita mea" possa ancora far girare la ruota.

E' quasi l'alba, la recensione è finita... voglio sbarcare anch'io.... Grazie nipotino, per avermi prestato il canotto!!! 

 

Carico i commenti... con calma