Uscito la bellezza di 34 anni fa, "Where Have I Known You Before" è in ordine cronologico il quarto album al quale il noto pianista jazz/fusion americano Chick Corea ha dato vita, assieme alla collaborazione di Stanley Clark (basso, organo), Lenny White (batteria, percussioni, bonghi) ed il grande chitarrista Al Di Meola, il tutto celato sotto il nome di Return To Forever.

La vita della band, nonostante sia stata piuttosto breve, in appena cinque anni ha dato vita a sette piccoli capolavori di jazz rock, dei quali "Where Have I Known You Before" non è soltanto che un esempio.
Nonostante gli otti pezzi presenti all'interno di questo lp siano riconducibili ad uno stile più o meno consueto al pianista americano, si nota come l'approccio musicale di musicisti prettamente improntati verso un sound più vicino alla fusion, o jazz-rock se preferite, faccia virare sensibilmente la direzione musicale verso territori più "rockeggianti": è così che nascono quindi capolavori quali la sensuale "The Shadow Of Lo", aperta dal piano di mr. Corea, che sembra voler dare uno stampo più classico alla traccia, ma tempo una manciata di secondi e le tastiere, accompagnate dal duo White/Clark assieme ad Al Di Meola, ci accompagnano in un delicatissimo pezzo di chiara derivazione fusion.
Sulle coordinate simili a questa "Shadow Of Lo", si muove poi anche la breve "Beyond The Seventh Galaxy", un vero inno fusion, che andrà ad influenzare poi svariati complessi del genere, primo tra i quali l'episodi del MVP con Frank Gambale, Shawn Lane e Bret Garsed, risultando forse meno passionale, ma sicuramente dotata di un approccio più scanzonato, azzarderei quasi divertente.
Durante il percorso troviamo altresì degli spazi nei quali è il padrone di casa a muoversi "in solitario", mi sto chiaramente riferendo agli episodi di "Where Have I Loved You Before", "Where Have I Danced With You" ed i due minuti della splendida title-track, una toccante base di solo piano che scandisce dolci e malinconiche note, preludio dell'ultima canzone, la lunga suite "Song To The Pharao Kings", 14 minuti e 24 secondi di continue evoluzioni strumentali che, nonostante dopo ripetuti ascolti alla fine risultino un poco stancanti, riescono comunque a svolgere il loro lavoro in maniera più che onesta. Da togliere il fiato l'assolo di basso che parte dal minuto 5 e 55 per esaurirsi al minuto 7 e 10 secondi (gli studiosi di basso avranno di che divertirsi).

Andando oltre ad una mera descrizione del disco, ciò che realmente colpisce è la stupefacente freschezza dei brani, nessuno dei quali dimostra i suoi 34 anni, risultano non solo dinamici ed in continua evoluzione, ma anche moderni e dotati di un piglio che non in molti possono arrivare ad avere.
Nonostante il buon Chick Corea abbia colpito nel segno un numero infinito di volte nel corso della sua quartennale carriera, non credo di esagerare dicendo che questo è sicuramente uno dei suoi lavori migliori, un lavoro brillante di una delle più brillanti stelle del firmamento del panorama jazz.

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