Chiuso - non senza strascichi polemici - il sodalizio artistico e umano con Lucio Battisti, nel 1980 Giulio Rapetti, meglio conosciuto come Mogol, decide che la pensione è un porto ancora troppo lontano da raggiungere, ed ascolta le richieste d'aiuto provenienti da uno spaesato Riccardo Cocciante. Il musicista lascia gli anni '70 con la consapevolezza - credo - di aver portato un'aria di novità, quantomeno nell'impianto vocale se non proprio in quello dialettico/strumentale. Ma - si sa - i tempi corrono, e gli anni '80 esigono nuova linfa, per non correre poi il rischio di crogiuolarsi in sé stessi, dimenticandosi di tutto il resto.

Sotto queste premesse vede la luce "Cervo a Primavera", senza mezzi termini un grandissimo album. Si potrà poi amare o no quest'artista, come tutta la musica leggera italiana (ehm...), ma - opinione personale - questo disco contiene almeno due/tre brani memorabili. Senza dubbio gioca un gran ruolo la componente emotiva nel mio giudizio (ah, com'erano spensierati gli anni della gioventude, passati a rovistare tra i nastri dei genitori, e poi ascoltarli con avidità misto stupore...); ma con altrettanta sicurezza posso affermare che ogni volta che ascolto "Cervo a primavera" il pianoforte e la voce del riccioluto italo-vietnamita-francese si dilatano nell'estasi sognante degli accordi, quella melodia che richiama spazi lontani, boschi contaminati solamente dall'ultima goccia di rugiada della sera. "Io rinascerò", esplode di rabbia Cocciante, una dichiarazione di intenti sì da parte sua, ma urlata con forza anche da Mogol, dopo una vita trascorsa a corte di Battisti e desideroso di una nuova identità. Per il resto, il solito Cocciante ci regala perle d'amicizia ("Tu sei il mio amico carissimo", "Piero") o di sincerità (il sapore tardo beatlesiano della splendida "Il sufflè con le banane").
I riempitivi ci sono, certo, come in ogni disco d'altronde, ma qui passano sotto puro divertissement, lo scherzo di "Gomma" e la furia pianistica (Elton John?) della chiusura "Suonare suonare". Qua e là si riconosce l'inevitabile tratto di Mogol - Cervo a primavera sarebbe forse risultato meglio in un album come "Il mio canto libero" - ma sono il valore aggiunto del disco, che può annoverare anche un momento toccante come "Non è stato per caso".

Insomma, certo l'industria (argh!) discografica italiana ha prodotto risultati migliori - ed anche peggiori -, ma l'album merita appieno le quattro stellete. Non foss'altro per il confronto impietoso con la musica contemporanea dello Stivale.

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