Ciao ragazzi,
quest’oggi dedichiamo le nostre attenzioni ai Mama’s and Papa’s italiani. I Mama’s and Papas’ Italiani? Esatto, state leggendo bene. Non trovo miglior definizione, infatti, per i Ricchi e Poveri – nome scelto da Franco Califano in persona, come riporta wiki – compagine con base a Genova attiva da oltre un quarantennio, con l’apice fra i settanta e gli ottanta. Veri campioni del pop vocale italiano, ed, ancor oggi, icone di stile nazionalpopolare, talora sfruttate anche nella pubblicità e nel cinema, a riprova di uno cifra stilistica riconoscibile attraverso i decenni. Vi basti pensare come pure il grande Alexander Aja, in un suo film, abbia utilizzato i nostri per stemperare l’alta tensione rappresentata in pellicola.
Mancava, in effetti, nell’Italia dei primi anni settanta, un gruppo capace di rinverdire i fasti della gioia di vivere tipica dei gruppi vocali californiani, che, a cavallo dei sessanta, avevano fatto conoscere ai giovani borghesi e disimpegnati dalle barricate le gioie ed i sogni della west coast: se la west coast italiana è, appunto, data da Liguria e Sardegna, non stupisce che il gruppo ligure-sardo composto da Angela (aka, la moretta), Franco (aka il baffo), Angelo (aka il bello), e fino ai primi ottanta Marina (aka la bionda), abbiano fatto da colonna sonora dei nostri genitori alla scoperta di quelle belle spiagge. E sia detto mai che qualcuno di voi non sia stato concepito fra le note di “Che sarà”, o “Se mi innamoro”, suonate da qualche mangianastri in auto o nelle tenda da campeggio piazzata su qualche spiaggia.
Rivendedone i video su you-tube, e ragionando a posteriori sulla loro fortuna, credo che i Ricchi e Poveri possano rappresentare, sia sotto il profilo stilistico che dell’immagine, il contraltare di Albano e Romina Power, con cui dividevano quasi la stessa nicchia di mercato: mentre i primi, come ebbi modo di scrivere anni fa, rappresentavano una sorta di fusione panica di uomo e donna all’insegna dell’amore (im)perituro, il nostro quartetto era portatore di una maggior libertà dagli schemi preconcetti della famiglia italica, anche laddove declinati in moderna chiave esotico-esterofila come nel caso della coppia apulo-americana. Erano note, alle cronache, le scaramucce fra i quattro Ricchi di spirito e poveri di tasca (così volle la leggenda), come pure i dissapori fra le donne del gruppo, che portarono Marina all’abbandono.
Come rappresentarono la via italiana alla west-coast, quindi, i Ricchi e Poveri furono anche la via borghese al superamento della banalità, svellendo dall’interno il modello classico della famiglia pacificata e la sua rapprestanzione canzonettistica, entro una logica di gruppo, di permutazione degli stili vocali e degli stili di vita, che nulla concedeva all’impegno politico o alla facile protesta. Quasi una decadenza dei modelli tradizionali intuita dall’interno della tradizione, e, quindi, una piena ed efficace anticipazione del riflusso dei primi anni ottanta a cavallo degli anni del terrorismo e della febbre del sabato sera: questo, sia dal punto di vista dello stile musicale, che del contenuto.
So che il paragone farebbe inorridire i puristi, ma la carriera dei Ricchi e Poveri rappresenta, per la piccola e media borghesia italiana, come pure per i ceti operai meno ideologizzati, ciò che fu la carriera di De André negli stessi anni, con la differenza che il grande Faber era seguito per lo più da alto-borghesi acculturati o ceto operaio e studentesco politicizzato (anch’egli ovviamente responsabile di molti concepimenti).
Questa bella ed indispensabile antologia fa il punto sulla carriera del quartetto (e poi terzetto), mettendone in rilievo soprattutto le virtù. Degna di nota la primigenia e famosissima “Che sarà” – portata al successo con Josè Feliciano, testo del grandissimo Jimmy Fontana – i cui testi toccano vette poetiche quasi ineguagliate, nel cantare la nostalgia per il proprio paese lontano, ed al contempo un misto di aspettative e timori per il futuro di un’età adulta piena di incognite. Si prosegue con “La prima cosa bella” – testo di Nicola di Bari – che indulge sulla tematica del primo amore, del sorriso giovane e della gioia di vivere declinata come apertura verso l’altro, senza che ciò significhi impegno familiare, politico o religioso: già qui si svuota dall’interno, e si rivisita sul piano tematico, quella dimensione alternativa che caratterizza il gruppo ed il suo messaggio, e che tanto ha inciso a mio modo di vedere sul loro successo nazionale ed internazionale.
Si prosegue con i veri classici del gruppo, brani che non mancano in ogni festa che si rispetti, anche in versione remix, e che sono stati apprezzati pure presso il pubblico omosessuale o semplicemente camp: l’apice del gruppo, singolo italiano più venduto nella primavera del 1981, “Sarà perché ti amo” (testo di Pupo; nel film di Aja non a caso sfruttata in una scena che allude ad un rapporto saffico; coverizzata tra gli altri dai Menudo di Ricky Martin), di cui credo sia giusto trascrivere parte del trascinante testo: dalla strofa iniziale “che confusione/ sarà perché ti amo/e un'emozione/che cresce piano piano”, fino al ritmico ritornello “e vola vola si sa sempre più in alto si va/e vola vola con me/il mondo e matto perché/e se l'amore non c'è/basta una sola canzone per far confusione/fuori e dentro di te” tutto il brano può essere in realtà letto come un inno alla liberazione ed all’uscita dagli schemi, nello stile che del resto connota l’opera e la vita dell’autore del testo.
Altrettanto notevole, e baciata da un successo sanremese che segna l’ultima tappa del pop-classico italiano al Festival (dopo la serie Cutugno, Fogli, Rivale, Albano e Romina, e giusto prima dell’avvento nel nuovo pop di Ramazzotti), è la celebre “Se m’innamoro” (1985), anch’essa dedicata all’innamoramento come fattore di discontinuità della vita, forse l’unica vera discontinuità laddove sono cadute le ideologie ed il disimpegno si è ormai diffuso come modus vivendi. Sono passati giusto trent’anni da questo pezzo, che pur conta su un refrain riconoscibile e radiofonico: in quegli anni, il terzetto si è ormai imposto come leader della scena musicale, e per paradosso quasi un’istituzione della nostra musica (al pari dei Pooh, unico gruppo che li precede come numero di dischi venduti), mentre si tratta di artisti che hanno per primi instillato il dubbio che famiglia non fosse tutto. Sul piano stilistico, ci troviamo di fronte ad un pop pienamente controllato, cui mancano forse i guizzi negli arrangiamenti: ed ancor oggi penso a cosa sarebbe stato dei Ricchi e Poveri se fossero stati scoperti da un Brian Eno o da un Daniel Lanois.
Chiudo con Coccobello Africa (1987, testo di Minellono, autore de “L’italiano”, tra gli altri), pezzo dei tardi anni ottanta ed ultimo singolo di successo dei nostri, che ebbe a mio sommesso avviso il coraggio – nel solco di “Rimini Ouagadougou”, di Lu Colombo – di sdoganare l’amore interraziale nelle spiagge italiane. Tema scabroso, da un lato, ma declinato con stile allusivo ed elegante, “cocco bello Africa/la parola magica/è un amore che/capita anche a te/ma non sai perchè”, che si presta comunque ad essere letto, presso il pubblico meno smaliziato, come la cronaca di una comune avventura estiva di una donna di mezza età (quasi una cougar odierna insomma).
Fra gli altri pezzi, che qui non analizzo, segnalo anche le ballabili “Mamma Maria” (1982) e “Voulez vous danser” (1983), che rammentano i migliori Abba, sia nello stile che nel trascinante andamento. Successi anch’essi, ça va sans dire, per quanto basati più sull’arrangiamento catchy e radiofonico che su testi di particolare rilievo.
Coraggiosi, iconici, dotati di una carica di simpatia e spirito che li fa essere anche oggi grandi entertainer, sia da noi che nell’Est europeo e nel Sud America: forse il vero simbolo della musica italiana e della sue trasformazioni, e con esse delle trasformazioni della nostra società, questi eterni, gradevoli, garzoncelli sereni! Altro dirvi non vo’, datevi alla festa sulle note di questa antologia.
Eternamente Vostro
Il_Paolo
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