"M come morte. M come mancanza, dove tutti abbandonano tutti..."

Nel 1977, Philip K. Dick pubblica "A scanner Darkly", da molti ritenuto uno dei più intensi e struggenti romanzi sulla droga.

Ambientato in un futuro certamente non troppo lontano, il libro descrive una Los Angeles devastata dagli effetti psicotropi di una nuova droga sintetica: la sostanza M (come "morte", chiamata ovviamente "substance D " nella versione originale), che provoca dissociazione mentale, visioni terrificanti e sdoppiamenti di personalità. La sostanza M si diffonde in modo capillare, ma sia la sua provenienza che l'identita dei trafficanti è ignota: scoprire chi ne gestisce il traffico è il compito di Bob Arctor, agente della narcotici, che vivrà da tossicodipendente infiltrato in un gruppo di tossici, al fine di scoprire utili dettagli grazie anche ad un innovativo dispositivo di registrazione che permette non solo di filmare i suoi sospetti, ma di scrutare in modo del tutto nuovo il suo lato nascosto.

A rendere indimenticabile il romanzo di Dick è la sua completa fusione tra realtà è fantascienza: qual'e la parte reale? Quale quella immaginaria? Davvero struggente anche l'inaspettato finale, che tocca corde di lirismo che io ricordo altrettanto potenti solo in Blade Runner.

Nel 2006 Richard Linklater decide di realizzare una fedelissima trasposizione cinematografica del romanzo, girata con la tecnica del "Rotoscoping" (già usata nel precedente "Waking Life"): si gira il film con attori in carne e ossa, dopodichè si estrapola il girato digitale e lo si trasforma in un film di animazione, con un effetto visivo finale a metà strada tra il cel shading dei videogame e un quadro ad acquerello sul punto di sciogliersi. Una scelta assolutamente vincente.

Annoverato tra i film con la postproduzione più lunga della storia del cinema (si parla di circa 18 mesi) "a scanner darkly" è una meritevolissima trasposizione dell'universo letterario di Dick: la resa estetica dovuta all'uso del rotoscoping è eccezionale, crea una stranissima commistione tra le espressioni assolutamente reali dgli attori e un'apparenza che di reale ha poco o niente. Inutile dire che lo spettatore sarà coinvolto al 100% nella vicenda narrata. Il film ci regala una visione straniante, liquefatta, irreale: ci mette in empatia con le visioni del protagonista, con le sue paranoie, con il suo progressivo disgregamento cerebrale. Si arriva ad un punto in cui si è davvero confusi su quanto siano affidabili le immagini che compaiono sullo schermo, se ne esce un po' storditi tra la devastante autodistruzione mentale che colpisce i personaggi  e uno strano disorientamento dovuto al rotoscoping, che rende continuamente l'immagine nitida e traballante allo stesso tempo.

Affiatatissimo anche il cast: la recitazione basata sull'espresssività di Keanu Reeves risulta addirittura esaltata dalla conversione a cartoni animati; buona anche la performance di Winona Rider e Robert Downey JR, che caratterizza un tossico assolutamente fuori di testa.

Se la lettura della controparte cartacea risultava disturbante, l'immagine amplifica queste sensazioni, le rende tangibili e condivisibili: è questo uno dei motivi per cui considero il film come un'ampliamento dell'esperienza del libro; chi non ha letto il romanzo da cui è tratto si troverà comunque davanti a un validissimo film, assolutamente coinvolgente, amaro e dal finale struggente.

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