"Vuoi sposarmi?"

"Non posso, tra un pò devo uscire"

Brisbane, Australia. Danny ha già cambiato 46 case; il racconto della sua avventura inizia in quella numero 47. E' circondato da un gruppo di amici (amici?) diversi fra di loro e che sono una specie di summa dell'essere umano. La casa ha ancora stanze in affitto: tutti gli inquilini sono con l'acqua alla gola e un pò di soldi non fanno male. Arriva dunque la darkettona Anya, inebriata da fantasie filosofiche sulla successione temporale del patriarcato, arriva la cinesina che non parla l'inglese ed è costretta a dormire in una specie di armadio a muro, arrivano anche due energumeni pronti a riscuotere l'affitto ancora non pagato senza troppe delicatezze.

Basta solo questo per capire l'essenza del film. Un delirante, caotico, surreale viaggio nelle diversità umane, negli istinti della nostra natura che ci portano a conseguenze spesso negative, nei sentimenti più profondi che a volte riveliamo per ciò che sono, a volte li reprimiamo. 

Danny è il simbolo di una generazione che ha fallito, un figlio di quella beat-generation tanto idolatrata ma anche tanto utopistica (gemella dei figli dei fiori sessantottini), che ha bisogno di un'espediente ridicolo (la sua presunta capacità di far "delirare" le donne) per poter sopravvivere nella giungla di ossessioni che circonda la sua vita. La splendida "California Dreamin" dei Mamas & The Papas, suonata con la sua chitarra come simbolo di transizione da una casa all'altra, è la perfetta colonna sonora della sua esistenza, un misto di malinconia e allegria, proprio i sentimenti che suscita l'ascolto della canzone (un brano-simbolo anche di un'epoca e di una filosofia di vita, forse prorio la stessa filosofia di Danny e che fa parte dell'ottima colonna sonora del film). 

Il felafel del titolo è il panino che sta mangiando il povero Flipp, tossico senza speranze e cultore della "tintarella albina", mentre guarda la tv seduto in salotto. La morte lo coglie di sorpresa e tutto il film ruota attorno a questa scena emblematica; la consapevolezza che alla fine tutti abbiamo lo stesso destino, indipendentemente da come viviamo la nostra vita. Forse è proprio la certezza di questo concetto che spinge Flipp, la dolce e sensibile Sam, la misteriorsa ed ermetica Anya, il puttaniere Taylor a seguire Danny ovunque egli vada, in qualsiasi casa decida di andare a vivere, formando un gruppo che difficilmente potrà dissolversi, nonostante le avversità che devono superare e a cui vanno incontro ad ogni trasferta: affitti non pagati, guai con la polizia, riti arcaici con tanto di vittima sacrificale, false identità, rapporti d'amore (e odio) ambigui e sfrenati.

E a far da cornice a tutto questo ci pensa la sterminata foresta di esseri umani con cui il gruppo condivide ogni istante della sua vita: come lo stesso Danny dice nella casa numero 49, nell'unica sequenza in cui perde il controllo e finalmente sfoga tutta la sua rabbia accumulata: "Ho abitato con bancari attempati, cultori della tintarella albina, pippatori di gas esilarante, patetiche attricette nevrasteniche, ciucciatori d'acido, coltivatori di funghi allucinogeni, bazzicatori di postriboli, ciccioni telematici, integraliste del separatismo lesbico, giapponesine ermetiche in tenuta tigrate di merda...". 

"Se prostitursi significa affittare il proprio corpo, sposarsi significa venderlo" è una delle frasi che ricorrono nel film, pronunciate con senso diverso a seconda di chi la pronuncia, ma sempre in un contesto ironico, che strappa più di una volta una risata appagante, grazie anche alla bravura di tutti gli attori e a una regia quasi perfetta. Fa ridere anche la filosofia (spesso spicciola) che riempie il film e nello stesso tempo fa sognare, sognare di essere un pò come Danny, che anche se è un uomo in mezzo ai guai riesce lo stesso a essere felice, a vivere in maniera completa e intensa, a suonare con la chitarra la sua canzone preferita.    

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