Ciao ragazzi, per quest'oggi abbandoniamo le note d'Italia e tuffiamoci idealmente, attraverso la Manica, verso le terre d'Albione e la loro musica.

Già che ci siamo, prendiamo la nostra De_Lorean e torniamo indietro agli anni '80 (segnatamente: nel 1987), in qualche bar fumoso di periferia del Belpaese, con biliardini, squinzie, panini, Timberland, Moncler, oppure con qualche chiodo e scarpe con punta ferrata, ed abbandoniamoci ai nostri videogiochi preferiti, come Double Dragon, Mexico 86, Tiger Road o quant'altro.

Un Juke box effonde musica e ritmo nel nostro baretto, mentre il nostro sguardo vaga dallo schermo dei coin-up(s) ai busti torniti delle sfitinzie, come pure alle loro gambe fasciate di fouseaux ed al loro frisè laccato di biondo.

Colonna sonora di questo pomeriggio come altri è il soul/rythm'n'blues del giovane cantante inglese Rick Astley che, nonostante avesse circa vent'anni quando incise questo suo primo album, già era contraddistinto da un vocione stentoreo e quasi tenorile, emulo dei coloured americani e delle sconfinate pianure che dal Tennessee giungono all'Oklahoma, passando per Cento, Trecate, Druento o Roverbella.

Il brano trainante di questo singolo-mini album, riproposto in tutte le tracce con arrangiamenti e mix varii, è il pezzo più famoso di questo giovane cantante, che all'epoca, fece strage di cuori verso le giovinette e ben impressionò, una volta tanto, la critica, grazie ad un impostazione vocale piuttosto professionale, ed avulsa dall'elettropop allora in voga, e ad un sapiente richiamo alla tradizione stax-motown degli anni '50 e '60, che rendeva Astley appetibile tanto agli adolescenti quanto ai loro genitori o in genere al pubblico adulto.

Si trattava di un brano per tutti i gusti, programmato dalle radio e dall'allora potente Dj Television, anche, caratterizzato da un successo in grado di soverchiare il bravo Astley e cacciarlo progressivamente nell'anonimato nel giro di pochi mesi, o tutt'al più anni. Il ritmo che contraddistingue le strofe del pezzo corre in rapido crescendo verso l'esplosivo e dinamico ritornello, in cui la voce di Astley effettivamente spicca come una delle più interessanti della musica commerciale del decennio, con un mood estremamente efficace, di facile e positivo ascolto.

Come al solito, tuttavia, non sono qui per farvi la lode dei bei tempi andati, o per spingervi a recuperare o riqualificare pezzi del pop radiofonico ormai caduti nel dimenticatoio o di qualche ex sfitinzia quarantenne e relativi compagni, ma voglio prospettare qualche spunto critico in ordine a questa musica ed alle ragioni per le quali Astley, o altri cantanti dell'epoca, ebbero scarsa o punta fortuna a cavallo del decennio successivo.

Credo che, obiettivamente, le ragioni vadano cercate nello scarso talento di questi soggetti, al di là delle loro qualità canore, ed, in ogni caso, allo scarso coraggio delle case discografiche, che allevavano artisti medio bravi (talora pessimi) come polli da batteria, tarpando le loro qualità e gettandoli nella mischia per una stagione o poco più. Si trattava di soggetti che di rado scrivevano i loro pezzi, sfruttando l'opera oscura dei songwriters delle singole case discografiche, e che, spesso, ripetevano se stessi per brevi stagioni, senza mai osare alcunché. Si trattava, insomma, di investimenti di breve periodo, calibrati per ottenere il massimo riscontro commerciale con la minima spendita economica, destinati a divenire nel giro di pochi anni dei titoli spazzatura (un po' come i mutui subprime), rimpiazzati da altri gaglioffi e gaglioffe di analoga estrazione e similare successo... fino al nuovo giro di giostra.

Certo, il pubblico meno smaliziato accorreva numeroso, l'airplay se ne giovava, ma la carriera e le aspettative di molti artisti, non eccezionali ma certamente onesti come Astley, veniva progressivamente penalizzata, addirittura cacciando personaggi come il nostro nel calderone del trash o del revival anni '80.

Lasciando perdere l'effetto nostalgia, ed effettuando la solita, equanime, valutazione circa la bontà del prodotto in questione, non posso che rimarcare una certa banalità di fondo, sia nelle tessiture ritmiche che nella voce stessa di Astley (alla fin fine... un soul man "in sedicesima"), alla lunga stancanti e difficilmente idonee a resistere all'usura del tempo, salvo recuperi come quelli che state leggendo or ora.

Il tutto raggiunge, a stento, la sufficienza, con un 2/5 di stima.

Dal passato remoto, sempre Vostro

Il_Paolo

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