Correva il 1990 e in Inghilterra si era nel pieno fermento della febbre baggy, quel movimento di breve durata ma di altissima intensità che aveva tra le sue formazioni di punta gruppi come Stone Roses, Happy Mondays, Charlatans e Inspiral Carpets che poi avranno un peso indiscusso nell'evolversi della "Cool Britannia" del pop albionico a metà del decennio.

Contemporaneamente però si stava facendo strada, grazie anche alla promozione di cui stavano iniziando a godere complessi come i My Bloody Valentine di Kevin Shields, una serie di bands che avevano imparato la lezione rumorista dei Jesus & Mary Chains e della psichedelia di fine anni '60, reinterpretando questi elementi in una veste nuovissima e perfettamente adatta ai tempi della rivoluzione acid house e del nuovo rock chitarristico americano.
Quella "corrente" fu lanciata in UK sotto il nome comodo di "shoegaze" che, stando alle previsioni della critica musicale dell'epoca, avrebbe dovuto soppiantare l'ormai esaurito filone baggy: i Ride, gruppo di Oxford messo sotto contratto a tempo di record dalla Creation di Alan "occhiolungo" McGee, invece avevano già portato avanti queste previsioni con il loro debut album, che come spesso è accaduto nella storia del rock, nonostante le scarse vendite si è ritagliato un posto fondamentale nell'evoluzione della musica inglese di questi ultimi 15 anni.

Dopo la classica gavetta di singoli ed Ep (tra i quali "Chelsea Girl" e "Dreams Burn Down"), i Ride con "Nowhere" chiarirono di essere andati oltre il semplice compromesso tra le irrequietudini giovanili del baggy e la creatività autistica dello shoegaze, per proporre un rock psichedelico in cui tutti questi elementi venivano utilizzati in maniera lucida al fine di creare una sorta di atmosfera indefinita, nella quale l'unica cosa riconoscibile fosse l'alchimia di echi del passato, il disincanto, la rabbia e la bellezza, riuscendo ad essere profondamente trasgressivi pur senza mai dare l'impressione di perdere il controllo, in un equilibrio emotivo mai risolto, come un naufrago che è lì sul punto di annegare ma che riesce per il momento a rimanere in vita.
Sotto quest'ottica l'iniziale, austera e caotica "Seagull" (che culmina in un finale isterico), la ritmata "Kaleidoscope" e la lenta e malinconica "In A Different Place" rappresentano le tre chiavi di interpretazione (che si incastrano in mille modi) di un sound comunque sempre in balia di un senso schiacciante di apatia e fatalismo che finisce con il dare una identità assolutamente particolare a ogni singola canzone: se per i My Bloody Valentine o gli Swervedriver si era parlato di "cattedrali in fiamme", per descrivere "Nowhere" si potrebbe fare riferimento a un qualcosa di fluido e scorrevole, sensazione già suggerita dalla bellissima copertina, che si serve del dream pop per arrivare a una percezione indefinita in cui le melodie, imponenti ma non imposte, non sono altro che polvere che scende dal cielo su una strada lastricata di ghiaccio in cui si scivola, si scivola, si scivola.

Comunque, stare a parlare di questo disco traccia per traccia non farebbe che sminuirlo: "Nowhere" va vissuto come un'autentica esperienza al di là dei propri gusti e dei paragoni che inevitabilmente possono venire in mente (gli Smiths più onirici, Syd Barrett, i Dinosaur Jr, i Cocteau Twins), perchè l'unico messaggio che viene dalla musica qui contenuta è quello di lasciarsi andare in un viaggio non dentro sè stessi, ma fuori di sè, alla ricerca di una serenità inquieta e liquida.
Basti solo nominare l'eccezionale picco emotivo di brani come "Dreams Burn Down" e specialmente la stupenda "Vapour Trail" (una delle ballate indie più belle mai realizzate) per evidenziare la connotazione di "classico" di questo lavoro, suggestivo e poetico nella sua apparente trascuratezza, dimenticato e indimenticabile.

Purtroppo, la fortuna artistica dei Ride (che all'epoca di "Nowhere" facevano abbondante uso di droghe) finì con quel debut: successivamente arrivarono dischi meno ispirati e l'inevitabile scioglimento, con il leader Andy Bell che, dopo avere tentato la sorte formando gli insipidi Hurricane #1, ora è diventato bassista negli Oasis e ha tra l'altro composto alcune delle migliori canzoni del recente repertorio della band di Manchester. Nonostante un presente comunque invidiabile, rimane il fatto che per lui e i suoi Ride ci sia stato un luminoso futuro dietro di sè.

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