I Braian Jonestown Massacre mi riconciliano con il senso dell'ascoltare musica.
I My Bloody Valentine mi hanno fornito il disco assoluto.
I Koolaid Electric Company mi cucinano la materia grigia a fuoco lento.
I Serena Maneesh mi proiettano verso il futuro di questo genere.
I Ringo Deathstarr? Me li tromberei. Uno ad uno, non me ne frega niente.
Come manifestare altrimenti la riconoscenza per un gingillo insostituibile, per la goduria che si prova all'ascolto del superfluo di lusso? E anche del super - fluo. La disamina di questo disco può essere liquidata in poche parole. "Colour Trip" da un lato è la raccolta del meglio dello shoegaze già ascoltato in passato, proposta da una band che va dritta per la sua strada sbandando tra MBV e J&MC; dall'altro è un disco robustissimo, prodotto alla grande, che regala la sensazione di suoni all'ovatta di puro cotone, di riverberi che rimbalzano sulla gommapiuma, di sei corde e forse più scorticate con le unghie, di tubetti di colore fluorescente spremuti con veemenza, la cui pasta è zuccherosissima al palato. Ecco, se proprio qualcosa di nuovo c'è in questo album, è un approccio alquanto pop allo shoegaze, molto orientato a prendere per le orecchie quanti più ascoltatori si può. Qualcosa di diverso rispetto alle melensi trame degli Slowdive o alle soporifere sbuffate MBV. Qualcosa di decisamente ascoltabile, ballabile, fischiettabile. Qualcosa di decisamente così, sbarazzino no? Per quanto possibile, un disco che sottrae alla sfera dei sogni certi suoni e li contiene, senza costringerli, su un terreno soffice e lieve, su una sabbia candida dove spero di incontrarli in estate: "Colour Trip" m'ispira proprio quelle fantastiche discussioni con quel qualcuno che in realtà non c'è e con la bocca impastata e le croste di saliva alle estremità delle labbra, alle nove del mattino in una spiaggia deserta che pian piano inizia a riempirsi di mostri. Chissà quanti birroni ghicciati ci butterò su.
I Ringo Deathstarr risultano essere una band compatta, perfettamente a suo agio negli abiti di scena, anche un po' ironica e leggera nel modo di porsi. Sotto questa patina di apparente nonchalance, però, agisce un gruppo già che gioca un calcio spettacolare a memoria, tiratissimo per la prima sua prima volta, che con coscienza ha architettato un lavoro così preciso, azzardo perfetto, da risultare in alcuni frangenti plasticoso e catchy. Forse due virtù per questo genere, di questi tempi. Facciamo così, non gli do il massimo, ho paura di dare cinque a qualcosa che, piacendomi così tanto, per paranoia temo possa nascondere una sola, una nota stonata che non ho ancora captato. Ma, come avvenne l'anno scorso, non meravigliatevi se nella mia classifica del 2011 troverete in cima un album cui non ho attribuito il massimo dei voti.
Certe storie meglio farle passare sotto traccia, si rischia di bruciarle quando sono già tanto bruciate di loro.
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