La leggenda continua. I Riot mandano alle stampe il loro quinto, strepitoso album in studio nell'83 con un titolo che è tutto un programma: "Born in America". Il gruppo capeggiato da Reale, non pago di aver già registrato quattro ottimi dischi (capolavori, a volerla dire tutta), realizza pure quella che è la terza fatica in studio in tre anni, il tutto senza perdere minimamente la freschezza compositiva ed istrionica dimostrata fin dagli esordi.
Dicevamo, un titolo che la dice lunga su quello che sarà il disco delle conferme: per la formazione (che per la prima volta rimarrà invariata rispetto all'album precedente) e per la band, che sforna un perfetto esempio di Hard n' Heavy di prima metà ottantiana, nonché probabilmente uno dei migliori proprio di questo periodo. "Born in America" è infatti una iniezione di primissimo Heavy Metal americano che vi verrà sparata prepotentemente nelle vene, grazie ai soliti riff al tritolo del mai troppo osannato Mark Reale e alla calda, graffiante ed emozionante voce del compianto Rhett Forrester.
Ed è così che ritroviamo un concentrato di primordiale metallo americano in pezzi come la terremotante Heavy Metal Machine (manco a farlo apposta) o la epica Where Soldiers Rule, aperta da quella classica cavalcata in terzine che avrete sentito un milione di volte, ma che non stanca davvero mai, senza contare il riffing granitico ed esaltante di Running from the Law, passando per Devil Woman, azzeccata cover di un pezzo del '76 di Cliff Richard e proseguendo con l'ennesimo pezzo dall'attitudine stradaiola rampante dal titolo Gunfighter, anch'esso caratterizzato dalle tessiture hard rockeggianti di Reale, in forma più che mai.
A completare l'opera arrivano quelli che per il sottoscritto sono le canzoni migliori del disco, ovvero la title-track, You Burn in Me e Wings of Fire; il primo pezzo è un colossale inno hard rock agli U.S., trascinato da un classico riff catchy ben cadenzato e dal timbro ruvido e graffiante di Rhett, mentre il secondo (ritenuto da molti fan come uno dei pezzi migliori dell'intera carriera del gruppo) ci racconta la devastante attrazione per una donna a suon di power chords aperti e di grande impatto.
Merita infine uno spazio tutto per sè Wings of Fire, probabilmente la miglior canzone dell'intero lotto. Un arpeggio di chitarra apre un emozionante preludio in cui Forrester ammalia l'ascoltatore col suo racconto: "[...] The suite of armor shines/Through the ruins of time/I can hear them call [...]". Una piccola pausa e via con la terremotante strofa, una scarica di adrenalina che da sola vale l'intero disco, per poi volare su vette altissime con un ritornello da cantare ancora e ancora e ancora, fino alla chiusura col botto che lascia spazio solamente a grandi emozioni.
Direi che non c'è altro da aggiungere su questo ottimo album, se non che si tratta dell'ultimo in studio riguardante il periodo Hard n' Heavy della band. In seguito all'uscita di "Born in America", infatti, i Riot non saranno purtroppo in grado di ritagliarsi una meritevole fetta di pubblico; il supporto dei fan viene così a meno e il gruppo di Reale finisce per sciogliersi nel giro di poco tempo. Fortunatamente, il chitarrista non si perde d'animo e qualche anno dopo riformerà il gruppo in una inedita veste Power Metal, consegnandoci uno dei migliori dischi di sempre per quanto riguarda il genere in questione.
Ma questa è un'altra storia...
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