Se dovessi fare un elenco di gruppi che hanno contribuito alla formazione di un genere, e che non hanno mai avuto un grande seguito e neanche una grande promozione, ne uscirebbe una bella lista. Exciter, Annihilator, Savatage, Blue Oyster Cult, i primi che mi vengono in mente. Ma un altro importante gruppo che viene in mente, sono sicuramente i Riot e no, non sto parlando dei Quiet Riot, altra band che viene spesso erroneamente confusa data la similitudine fra i nomi. I Riot furono un gruppo fondato dal cantante Mark Reale, voce fin troppo sottovalutata, e il chitarrista Peter Bitelli nel 1975, e due anni dopo nel 1977, vide la luce il loro debut "Rock City", che si rivelò essere un ottimo album che strizzava l'occhio a quelle sonorità heavy metal che più tardi, nella prima metà degli anni 80', avrebbero riscosso successo. Se vogliamo, si può definire "Rock City" come un disco Hard 'N Heavy, ma non sulla stessa scia dei Motorhead, anzi, il sound dei Riot si contraddistingueva per una maggiore eleganza e ricerca della melodia, ma senza tralasciare l'energia tipica del genere, data anche dalla voce di Reale.

Ingaggiato un tour con gli AC/DC e Molly Hatchet, i Riot sembravano già essere allo scioglimento prima di entrare in studio per le registrazioni del secondo album. Poco interesse, scarsa affluenza ai loro concerti, furono due delle tante ragioni che sembravano aver portato la band di New York allo scioglimento. Stretto un accordo con la Capital Records, nel 1979 vide la luce "Narita", disco che conferiva finalmente alla band un immagine degna di sè stessa, con un suono che finalmente rispecchiava la maturità del gruppo, un heavy metal semplice e diretto, senza tanti fronzoli, maturità che emergerà ancor in modo più incisivo nel successivo "Fire Down Under". Ma andiamo con calma.

Impossibile trovare un singolo punto debole in questo disco. Se proprio vogliamo fare i pignoli, il tallone di Achille di questa band sono sempre state le copertine raffiguranti una foca,mascotte del gruppo che risponde al nome di Johnny, che sono state nella maggior parte inadatte alla qualità di canzoni che il gruppo proponeva in ogni suo singolo album. Pezzi trascinanti come "49er", in cui Speranza dimostra non solo di avere una gran voce, ma di saperla usare bene, l'opener "Waiting For The Taking", o ancora l'energia Titletrack, completamente strumentale, non fanno che spazzar via dei nostri eventuali dubbi, semmai ne dovessimo aver avuti, sul talento di questi ragazzi, che nel lontano 1977 fecero uscire questo capolavoro. Per citare altre canzoni veramente splendide, impossibile non menzionare "Do It Up", dotata di cori che sembrano quasi anticipare il fenomeno AOR, ma senza cadere nel banale, e la cover di "Born To Be Wild" degli Steppenwolf, in cui una batteria magistrale fa da comando al resto della band.

Troppo, troppo, e ancora troppo sono stati, e sono ancora sottovalutati i Riot, e pensare che album di questo spessore dovrebbero trovare la loro giusta posizione accanto ad altre uscite storiche, ma purtroppo non è così. E dire che con il successivo "Fire Down Under", la Capitol Records pubblicò di rifiutarlo perchè non ritenuto abbastanza valido! Ancora attivi dopo anni dall'uscita di questa perla, i Riot continuano a pubblicare album dimostrando di non aver mai dimenticato le loro origini, e che seppur seguiti da poche anime, la loro costanza è ancora lunga dal morire. Come si suol dire, pochi ma buoni.

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