Vorreste assaporare la magia e la potenza evocativa del piano solo, rifuggendo in egual modo melensaggini e fredde elucubrazioni mentali? Temete ad avvicinarvi al "mostro sacro" Keith Jarret, ma nello stesso tempo vi sentite pronti per qualcosa di più complesso e profondo (diciamocelo: un po' meno banalotto) di Allevi ed Einaudi? La soluzione non solo c'è, ma ce l'abbiamo pure in casa, e si chiama Rita Marcotulli.

La pianista romana è ingiustamente poco nota, nonostante vanti un cospicuo numero di collaborazioni sia nel jazz che nella pop music: Palle Daniellson, Peter Erskine, Dewey Redman, Enrico Rava, Andy Sheppard, Michel Petrucciani, Pat Metheny, Pino Daniele, Noa. Musicista riservata e nello stesso tempo solare, di una umanità e generosità non comune nelle esibizioni dal vivo, ha elaborato negli anni una sua personalissima sintesi tra jazz e musiche "altre", sfociata nel precedente "Koinè" (ottimamente recensito su debaser) ed in questo "The Light Side Of The Moon", che si muove sulle stesse coordinate, ma in completa solitudine.

Piano solo, ma comunque atipico, vuoi per la varietà e ricchezza dei temi affrontati, vuoi per le timide incursioni in tecniche particolari: nel brano "Conversation With The Moon" la Marcotulli "suona" le sculture dell'artista Pinuccio Sciola...

Il tema di apertura, "Waves And Wind" è forse quello che ha una maggiore carica descrittiva. Molto ben scritto e congegnato, è una seducente marea che avvolge è porta con sé, impreziosita da delicati arpeggi che la pianista suona direttamente sulle corde del piano.

Le tecniche di registrazione e post-produzione, affidate al marito Pasquale Minieri, hanno una importanza non trascurabile, come dimostra la rilettura dell'immortale "Us And Them" dei Pink Floyd (un brano che la pianista esegue spesso dal vivo in duo con il sassofonista Andy Sheppard): eterea e quasi metafisica, leggermente ritoccata in studio aggiungendo degli evocativi riverberi, e suggerisce il titolo del disco: sembra davvero di trovarsi sul "lato chiaro della luna".

La Marcotulli fa poi bella mostra di una delle sue specialità, particolarmente suggestiva nei concerti dal vivo: il piano preparato. Semplicemente, appoggia una collana sulle corde del pianoforte alterandone la timbrica, aggiungendo misteriose risonanze metalliche, che ricordano talvolta il sitar, talvolta la Kora. In un brano dal forte sapore etnico come "Koinè" l'effetto è quasi psichedelico, e non si dimentica facilmente.

Il jazz, pur essendo una componente sullo stesso piano di molte altre, è ben presente, come dimostrano le belle pagine di "Misteriosa", "Imaginary Rainbow" e la quasi monkiana "Tuareg".

Chiude il disco "Elettra's Magic Stick" una toccante ninna nanna dedicata alla figlia Elettra e cantata con un filo di voce. A riprova che si può parlare direttamente al cuore senza diventare insopportabilmente zuccherosi...

Non sarà un disco che scrive una pagina indimenticabile della musica, ma lo ascolterete molto, assicurato.

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