Pesarese, settantasei anni, oltre duecento colonne sonore composte fra il 1954 e il 2006, marito di Katyna Ranieri, svariate partecipazioni come special guest in altrettanti lavori di innumerevoli band, italiane e non, ideale "frontman" -se così si può davvero chiamare- di un'orchestra di musica leggera. In poche parole, settantasei anni e non sentirli.

Questo è lo straordinario curriculum di Riziero "Riz" Ortolani, uno fra i più importanti, conosciuti, apprezzati e prolifici compositori del Ventesimo Secolo. Un uomo che, nonostante lavori proficuamente ancor oggi, è circondato da un'aura di leggenda: un uomo che ha fatto (e continua a fare) della musica la sua ragione di vita, riuscendo ogni volta a reinventarsi e a stupire le enormi file di aficionados che da tempo immemore lo seguono. Sì, perchè una delle particolarità che hanno reso il maestro Ortolani quello che è oggi è l'incredibile duttilità musicofila che in ogni suo lavoro riesce ad esprimere: dal jazz alla classica, all'elettronica, all'ambient, al rock, alla barocca. Ed ogni volta, la perizia con il quale questi generi vengono trattati e plasmati secondo le più consone esigenze, fa puntualmente gridare al miracolo: il vecchietto ci sa veramente fare.

Come già detto sopra, nella sterminata produzione discografica di Ortolani, un consistente, se non totale, rilievo, viene dato alle colonne sonore, che più di ogni altre identificano il direttore: si va dai western, alle commedie leggere, alle prose, agli horror, alle pièce teatrali, addirittura agli spettacolosi, tarantiniani Kill Bill Vol.1 e Kill Bill Vol.2 che, come tutti sappiamo, sono di recentissima produzione. Per quest'immaginifica proposta, Ortolani è stato spesso accostato ad altri, illustrissimi nomi, con precedenti ben più che sfavillanti nel campo delle soundtracks (Ennio Morricone e Goblin docet, insomma).

Uno dei lavori più celebri e, allo stesso tempo, discussi di Riz Ortolani, è certamente il meraviglioso commento sonoro ad uno dei film italiani più grandguignoleschi e controversi mai prodotti: "Cannibal Holocaust", la pellicola di Ruggero Deodato targata 1979. Per chi fosse interessato allo sviluppo tecnico della vicenda, e al rapporto fra il compositore marchigiano e il regista calabrese, senza troppi panegirici, può guardarsi questa mini-intervista. Per chi volesse scoprire qualcosa del film in questione, può leggersi la recensione di Happypippo linkata sopra. Rimanendo invece nel campo prettamente musicale, aldilà dello "shockontenuto", più o meno condivisibile, del film, si può certamente affermare che questa soundtrack è un bellissimo gioiello dalla lucentezza sopraffina, certamente da riscoprire, rimasto troppo a lungo oscurato dalle ombre che le ambigue sfaccettature dell'ingombrante lungometraggio proiettavano su di esso. Dieci composizioni diverse, per un totale di trentatrè minuti di vera musica fatta poesia. Trentatrè minuti, in cui il maestro Ortolani si affida ad un'orchestra per dare un suono, una consistenza, un collegamento, un impatto ancora più forte alle, già di per sè sconvolgenti, immagini della proiezione.

Il risultato è a dir poco strabiliante. Narra la storia che Ortolani fu gentilmente pregato dallo stesso Deodato di partecipare attivamente allo sviluppo di "Cannibal Holocaust" con, appunto, un contributo sonoro. Il risvolto buffo della vicenda è che il compositore dovette lavorare senza prima aver visionato il film: senza, dunque, la più pallida idea di cosa sarebbe andato a musicare. Solamente in seguito, con un estasiato Deodato alle spalle, ultimato il montaggio, ebbe modo di guardare per intero la pellicola. Sinceramente, non so quanto sia vero l'aneddoto: non ci sarebbero motivi per dubitare della parola di Ortolani, è vero, se non fosse che il problema (...problema?) stia proprio nella soundtrack. Non avrebbe potuto comporre musiche migliori di queste, su questo non ci piove, ma è curioso il fatto di come le armonie si sposino alla perfezione con il disegno finale del regista. Che sia stata solamente una coincidenza?

I temi principali di "Cannibal Holocaust" sono essenzialmente tre: la sigla che apre e chiude la pellicola ["Cannibal Holocaust (Main Theme)" e "Cannibal Holocaust (End Titles)"], la melodia che accompagna la lapidazione di un'adultera Yanamomo ("Adulteress' Punishment") e il finale a sorpresa che riguarda i quattro cameramen psicotici ("Massacre Of The Troupe"). A questi, poi, si devono aggiungere dei temi minori, come "Crucified Woman" e "Drinking Coco". Ma tutte le canzoni, chi più chi meno, denotano un livello compositivo assolutamente superlativo e fuori dal comune. Spesso Ortolani gioca sul rapporto chiaro/scurale dei brani: musicalità soavi ed inebrianti cozzano fragorosamente contro tetre voragini elettroniche, quasi a ricordare la vera natura del film.

Così il giro di chitarra, appena accennato, che introduce i vaporosi sintetizzatori e le nuvole di archi di "Cannibal Holocaust (Main Theme)", donando al tutto un effetto nostalgico, ameno e fortemente evocativo, deve fare i conti con i pizzicori industrial che avvolgono la sopracitata "Adulteress' Punishment", un teatrino macabro che, con i suoi improvvisi inserimenti di viole e violoncelli, satura di drammatico pathos i timpani dell'ascoltatore, facendogli prevedere ciò che accadrà alla povera donna, e spingendo la sua immaginazione ai limiti della più parossistica commozione. Quella vera, non melensa e caramellata, la commozione e la pietà vere, che non abitano in casa Hollywood, se non raramente.

Quindi, Ortolani si spinge ancora oltre: il drammatico andante, dai toni quasi religiosi, della struggente "Crucified Woman", ancora una volta per chitarra e archi (ascoltare per credere) va a braccetto con lo spensierato dub di "Relaxing In The Savana", dove ritmi sincopati, quasi da dancehall, si alternano alle note di un pianoforte bambinescamente intagliato nel mezzo, senza per questo avere l'effetto collaterale dello pseudo-grottesco. Anzi, l'eleganza che si sprigiona anche dai bassi più beceri è tale da lasciare sopraffatti. Ma ancora, il velocissimo random di "Savage Rite", un ibrido fra "Adulteress' Punishment" e "Massacre Of The Troupe", che sottolinea il macabro rito compito su una testuggine gigante, introduce "Drinking Coco", forse l'unico mezzo passo falso del disco, in quanto le pulsioni jazzistiche che si sprigionano dal pianoforte latente vengono miscelate e, in parte, soffocate, da un'acida chitarra latina, che potrebbe stare perfettamente fra le braccia di Santana, e da ritmi caraibici che poco o nulla hanno a che fare con le elaborate foschie del film. "Love With Fun", invece, è una variazione -rallentata- del tema principale, dove i prepotenti violini sfumano pian piano verso un marasma di bonghi, scanditi da una ritmica ossessiva e tribale.

Eppure, c'è ancora di meglio. Perchè il combo "Cameramen's Recreation" e "Massacre Of The Troupe" è un uno-due da KO immediato, di quelli che colpiscono, rapidi e sinuosi, e non lasciano alcuna speranza. La prima sembra, a sprazzi, far parte del repertorio dei Naked City: sebbene la melodia rimanga sempre ben percepibile, i beat funky che aprono il tutto sfumano gradualmente verso inserti di pseudo-jazz, largamente contaminato dall'elettronica, che lasciano disorientato l'ascoltatore. Come se non bastasse, sul tutto aleggia un'atmosfera cartoonistica, vivace e simpaticissima, alla Donald Duck, che di certo non potrebbe far intuire il terremoto che si sta avvicinando. Perchè "Massacre Of The Troupe" è un vero e proprio sisma: è il motore della pellicola, è la traccia che più di ogni altra trasuda l'olocausto cannibale, le devianti e malsane uccisioni che vengono riprese proprio in questi passaggi, è il pezzo che ha coronato anche lo stesso trailer del film. È l'apocalisse che si fa nota, il rombo della giustizia che prende forma e si scarica veemente contro gli ignavi: è il loop che rimbomba asfissiante fra muraglie sonore granitiche ed oleose, è il suono insistente che si schianta contro gli spigolosissimi archi, che penetra nella mano del violinista e la spinge all'estremo, nel tunnel buio e gelido della follia. E non c'è nessuna pietà per chi ha dato vita a tutto questo: occhio per occhio, dente per dente. Nessun compromesso.

Indipendentemente dai gusti cinematografici e dall'influenza, positiva o negativa che sia, che "Cannibal Holocaust" abbia potuto avere su di voi, questa è certamente un'opera da avere, magari originale, conservare, da tirare fuori ogni tanto, da cui lasciarsi sedurre e rapire. È il giusto ma angosciante requiem di quattro ragazzi, che hanno avuto la sola sfortuna di essere nati.

Carico i commenti... con calma