Perdonerete (spero) la terza recensione in pochi giorni sullo stesso film. Film che, volente o nolente, è il primo "caso" cinematografico dell'anno, ammesso (e concesso) che fra qualche mese si parlerà d'altro. Credo, infatti, che col tempo quest'opera di Egger verrà considerata una sua opera minore, seppur di qualità, come lo fu "Il pianeta delle scimmie" (2001) di Tim Burton. Ogni regista ha un suo pallino, quel film che l'ha segnato da ragazzo e che freme nel voler rifare, anche se la cosa non è (quasi) mai necessaria, e in effetti questo "Nosferatu" tra tutto ciò che ha fatto finora Eggers è il suo film meno personale, forse più sentito, ma più anonimo, nulla a che vedere con l'autorialità, quella sì personalissima, di "The Witch" (2015).
Ora, il nostro non si vuole, intelligentemente, confrontare con Murnau, che sarebbe come se uno volesse confrontarsi, che ne so, con "I promessi sposi", sarebbe da manicomio. E, alla fine, nemmeno con quello di Herzog, già inferiore al capolavoro del 1922. O meglio, li cita entrambi, ma con parsimonia. Più che altro riprende alcuni stilemi dell'opera letteraria (Nosferatu, si sa, è Dracula solo che Murnau non avendone potuto avere i diritti, al posto di chiamarlo Dracula lo chiamò Nosferatu, ne spostò l'azione da Londra alla Germania e non citò mai la Transilvania ma, più genericamente, i Carpazi) e ci restituisce, finalmente, un Nosferatu baffuto, implacabile e malatissimo. Il suo arrivo in Germania, accompagnato da una valanga di topi, porta la peste e manda sull'orlo della pazzia l'intero paese.
Eggers ha buon gioco laddove sfoggia tutto il suo potenziale visivo (tranne una sequenza, la nave che ondeggia tra le onde del mare, realizzata in una, incredibile, computer graphic ai limiti dell'indecente) e azzecca molte cose. Il clima di terrore portato da Nosferatu è notevole, la peste che contagia tutta la cittadina tedesca è raccontata con dovizia di particolari e solennità rare nel cinema moderno, gli spaventi sono ben distribuiti (e alcuni sono veramente agghiaccianti), spalma l'azione in poco più di due ore di film senza mai cedere alla noia e riesce a tenere altissima la tensione fino alla fine (finale memorabile, va detto). Nel farlo utilizza una fotografia volutamente anonima, riecheggia, vagamente, l'espressionismo tedesco con le sue lunghe ed inquietanti ombre (la mano che copre demoniacamente la città, l'arrivo sulle scale, nel finale, del protagonista, questa sì una citazione da Murnau) e utilizza al meglio le scenografie, dettagliando una Germania davvero spettrale. Senza dimenticare l'ottima direzione degli attori, su tutti un Willem Dafoe/Van Helsing (anche se, ovviamente, non si chiama Van Helsing, ma quello è) da brividi. Utilizza l'argomento del sesso (possessioni demoniache, amplessi con il mostro) con parsimonia, ma non usa la sottile latenza di Herzog, semmai l'esplicita visione stile Dracula di Coppola.
Fino a qui tutto bene, ottimo film. Peccato che, come sempre, la verità sta nel mezzo. Sbaglia dunque chi lo ritiene una fetecchia, ma erra pure chi lo ritiene un capolavoro. Perchè al netto dei tanti pregi, qualche difetto è fin troppo evidente. Se Murnau è sullo sfondo, Herzog anche ma un po' meno, è il Dracula di Coppola (luci kitsch a parte) il punto di riferimento al quale sembra volersi rifare Eggers. I due film hanno una narrazione speculare (si vede la scena sulla nave) e in qualche modo ne ricalcano l'essenza erotica in molte sequenze. E quando non cita Coppola, sembra che Eggers voglia ricordarci di quanti bei film horror abbia visto, e nel calderone ci butta qualsiasi cosa, compresa una citazione, pedestre, dell'Esorcista. Insomma, un po' troppo derivativo il tutto, a volte in modo anche fastidioso.
Sarà vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza.
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